R, Resistendo

Sei in un periodo della tua vita in cui ti senti oberata, oppressa. Tra traduzioni da portare a termine, docenti che sono in attesa di scrutinarti, magari vomitando tutto il loro livore contro di te, anello debole di quella catena alimentare di disumanizzazione chiamata accademia, arriva un giorno in cui puoi, almeno nell'arco di quelle ventiquattr'ore, importi di uscire dalla spirale distruttiva ed autodistruttiva nella quale ti costringi da tempo nel miraggio di una futura realizzazione, tua e dell'amore platonico ed incondizionato per una disciplina. Che stai ancora aspettando.
È Aprile. I sentieri sono odorosi di polline, l'erba non è più terrosa e non ancora gialla. Un verde in cui non ci si stanca mai di immergere lo sguardo. Quella montagna-non-montagna che ha intersecato la tua vita innumerevoli volte; un habitat che forgia una particolare forma di uomini. Di donne. Di pensieri. Dove la vita si rifrange e metamorfosa secondo una combinazione che sei in grado di riconoscere all'istante, talmente in intima connessione con te da non poter articolare a parole, imbastire definizioni e descrizioni. 
Non sei l'unica. Quelle sedimentazioni di arenaria vengono percorse da piedi diversi, di diversa taglia ed aderenza. Il riverbero che ti fa dire di appartenere a quella terra entra in risonanza con le onde trasmesse da quei piedi, da quelle gambe, da quegli scheletri ricoperti di muscoli, tendini, pelle, capelli. Onde che hanno una profondità temporale. I sentieri odorosi che seguo sono stati un reticolo di universo settant'anni fa. Giovani che vi trovavano rifugio per costruire qualcosa di diverso.
Lo sa bene una giovane e coraggiosa storica, talmente coraggiosa da non ammetterlo e schernirsi nella sua timidezza, Iara Meloni. Nel suo Memorie Resistenti, cerca di di andare al di là della retorica della memoria preconfezionata in questi decenni, una nenia che talvolta si sente anche in comizi ai quali si partecipa in una giornata che continua ad avere una sua giusta sacralità. Resistenza non erano soltanto guerre di posizione, giovani militari sbandati che hanno riorganizzato le loro forze per combattere i nazi-fascisti. Senza quelle battaglie, ovviamente, non saremmo qui. Resistenza, tuttavia, ci ricorda Iara nella semplicità delle sue parole, ha un significato profondo: come il giornalista Gabriele Del Grande, poco più anziano della sottoscritta, ha sottolineato, resistenza contiene al suo interno la parola esistenza. Resistere significava la costruzione condivisa e compartecipata di nuove forme di esistenza: le dinamiche di genere, improntate al patriarcato imperante di sapore fascista, argomenta Iara nelle sue pagine, vengono completamente scardinate. Nella Resistenza, le donne tessono una nuova antropologia di sé stesse: in cui il binomio gonna e munizioni diviene plausibile. In cui sfamare dei compagni e dormire insieme a loro in spazi comuni esercitano un diverso pensiero su cosa significhi essere donne e quali conseguenze morali derivino da questo rifacimento dell'esistenza femminile. 
Quel laboratorio sociale che è stata la Resistenza risuona nella parole di Lidia Menapace: una donna che, proprio perché una delle fautrici di quel processo metamorfico dell'umanità, colpisce per l'estrema modernità del suo pensiero. L'Europa che propone non sfigura neanche lontanamente con le teorie di partecipazione popolare del belga David van Reybrouck: Europa è un'idea, una prassi, uno stile di vita che unisce la gente invece di irregimentarla secondo il contenitore dello Stato-nazione e della fiscalità del capitalismo-liberismo di questo secolo. Europa è costituita da ognuno di noi, secondo l'apporto prezioso ed unico dato dalle nostre singolarità, singolarità che si aprono ad una collettività. Ed ecco che è proprio la specificità di ognuno che definisce un universo di possibilità, di r-esistenza: resistere significa anche, come sostiene Del Grande, passare attraverso forme di narrazione alternative. I politologi esaurirebbero questa riflessione utilizzando parole chiave quali bottom-up, grassroot. Quei ragazzi che percorrevano quei sentieri di arenaria e di forstizia in fiore nei quali amo perdermi avevano compreso la profondità rivoluzionaria dell'autogestione, dell'autodeterminazione. E, soprattutto, la mettevano in pratica. Ancor prima di riempire pagine di pubblicazioni, la propria bocca di termini altisonanti, vincere concorsi o sgomitare per vincerli. 
Resistere significa non accettare quello che ci è fatto passare come "naturale." Significa creare qualcosa di nuovo. Significa trovare le parole, i pensieri per poter inforcare le azioni. Scienziati sociali del contemporaneo parlerebbero, a questo proposito, di ricerca-azione. Dubito che ammetterebbero che il credito di quest'idea sia da attribuire a quella ragazza che ora si trova davanti a me sul palco. A quella bambina che insisteva nel portare i compiti alle compagne Ester e Ruth senza sapere cosa volesse dire ebreo ed ariano in quel periodo storico. Bambina e ragazza che hanno fatto germogliare o che sono compresenti a quella signora dai morbidi capelli bianchi e dalle calze nere. Vedo bambina, ragazza e signora intrecciarsi nelle parole che sto ascoltando. E mi chiedo se quella bambina che amava passare i pomeriggi a divorare romanzi e ad abbracciare alberi sia ancora da qualche parte nella terra che smuovo con i piedi.
Il cambiamento è alla nostra portata. Questo ci dicono i ragazzi di ieri, i signori, le tombe, i prati, le ghirlande e bandiere di oggi. Perché non basta semplicemente ricordare, quello che si deve fare è continuare il laboratorio sociale, creare nuovi sogni


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