Ho fame

Se mai esistesse una divinità trascendente e creatrice, l'immagino come una pasticciera o un panettiere. Per fare un uomo vi servono un chilo di marasche e un litro di rugiada. Mescolate ad un etto di cuore, un grammo di colorante per alimenti, una marea di latte e miele, una manciata di terra e di libri, meglio se infarciti da mappe geografiche e tavole periodiche degli elementi. Guarnite con curiosità e morbida panna. Servite caldo, anzi no, bollente e mangiate il tutto con un cucchiaino, scavando piccoli tunnel come quelli che si osservano nei formicai d'estate. Il Golem di Praga era invece un calzone di noci, pere, formaggio e una spruzzata di cioccolata al latte fusa nel fondo. Cotto al forno insieme alle pene dell'inferno e ai piccoli fastidi quotidiani. 
Il sorriso di quella ragazza alla fermata dell'autobus è invece una tarte di gelatina di lamponi e vaniglia. I capelli di quella signora che sferruzza sulla panchina non sono altro che morbida meringa, con una virgola di melissa. Le orme di Babbo Natale si fanno con la farina e lo si attira con il latte caldo e dei biscotti al cioccolato. I marshmallow esistono solo nei film americani, sapete, quei film che si riassumono in èunagrandeamericanata, o nei libri di Roal Dahl. 
Ogni libro che si rispetti deve avere un companatico. Pasta asciutta al pomodoro per Pinocchio, cioccolata calda con panna in qualche libro mitteleuropeo, un infuso al cardamomo e rose per il Piccolo Principe. Fame di lettere e di uvetta. Una tazza di caffellatte e le equazioni per la lezione successiva. Café letterari, pasticcerie dove è nata quella trama che ci fa stare svegli la notte.
Ho fame e hanno fame anche quei bambini al parco che si riempono la bocca di terra ed erbetta tenera, sotto gli occhi basiti. Ogni mia cellula del corpo ha fame: un nido, un colore, una parola, una mano, un polso, un odore. Conoscenza, bulimia patologica di libri, e tanto, tanto inchiostro. Quel volume sa di buono, di casa, di cura, di forno appena aperto con ogni leccornia dentro. Il sole fa bene alle ossa, dicono. Tutto si può tradurre come un'opera di assorbimento, di soffritto emotivo. Ma anche i resti dell'abbuffata della sera prima vanno bene. Fatti cuocere a bagnomaria nell'attesa mescolata alla noia sonnacchiosa. Non troppo però, altrimenti si monta troppo.
Vi sembra sempre che le porzioni siano troppo o troppo poco, c'è chi ha di più e chi di meno, chi ha ottenuto la parte centrale e chi il "culetto", chi un po' di pelle e chi qualche candito in più. C'è chi gusta il tutto in silenzio, chi nel fracasso, chi lamentandosi del pasto e chi preoccupandosi della conseguenze. Venghino, venghino signori, c'è un mestolo di cibo assicurati per tutti, state in fila per due, non spingete, chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Poi si digerisce e si fa un sonnellino o si torna subito al lavoro. Ma il pensiero è sempre lì: cibo per sopravvivere, cibo per l'anima, cibo per la propria ingordigia, cibo per forza e cibo sprecato, cibo sognato o senza cibo. Ma c'è sempre cibo, in un modo o nell'altro.

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