Sotto la tormenta politica

Gli avvenimenti concitati di questa settimana hanno reso evidente ciò che si sapeva già da tempo, ma che nessuno voleva affrontare a viso aperto, ovvero la spaccatura della società italiana. La personalizzazione della campagna referendaria, sia da parte del fronte del sì che di quello del no, non è stato altro che uno scollamento tra dirigenza politica e base elettorale avvenuto in realtà molto prima del referendum stesso. Una spersonalizzazione della rappresentanza a sinistra e una sempre maggiore virata a destra della destra, che non si vergogna più delle sue derive xenofobe e neo-fasciste. La violenza che scuote la società inglese è una violenza che c'è anche qui, lo si vede nella quotidianità, anche se finora nessuno ha avuto il coraggio di nominarla per quella che è.
Da un voto sulla riforma costituzionale in sé e per sé si è trasformata in un voto al governo Renzi. Molti di chi ha votato sì lo ha fatto affidandosi alla teoria, ormai consumata per gli elettori di centro-sinistra, di turarsi il naso davanti ad evidenti limiti del Partito Democratico e dei contenuti della riforma stessa per evitare il "male peggiore", la possibilità (divenuta poi certezza) di un'instabilità politica sulla quale Movimento Cinque Stelle e Lega Nord potessero innestarsi. Molti altri, invece, hanno visto nella riforma un pericolo per la democrazia stessa, un potere esecutivo sempre più forte senza un equilibrio delle varie forze partitiche, esacerbato dalla mancata modifica del Porcellum-Italicum. Molti altri, invece, hanno visto nel referendum la possibilità di protestare rispetto ad un governo dal quale non ci si sente più rappresentati, a sinistra come a destra, specie nelle generazioni più giovani, colpite in particolar modo da un'inflessione economica che ormai infiacchisce l'Italia da più di un decennio. Il collettivo Je so' pazzo ha visto in questo voto di protesta la possibilità di un rinnovamento rivoluzionario in seno alla sinistra a partire dal basso e che, quindi, non ha nulla a che vedere con la rappresentanza politica.
Questa personalizzazione del referendum si è poi trasferita alla personalizzazione di chi ha votato. Chi, come la sottoscritta, è entrato nel merito della riforma, informandosi, cercando di avere una visione il più possibile obiettiva dei pro e dei contro che una simile riforma portava in causa, si è sentito dare del traditore di quegli stessi principi democratici che voleva difendere votando no, venendo paragonato ai simpatizzanti di Lega e Cinque Stelle. Una demonizzazione che ha toccato allo stesso modo chi ha votato sì, sentendosi dare del pusillanime del potere. Le analisi dei commentatori esteri hanno contribuito a creare questo clima di risentimento e di lacerante senso di colpa, designando l'Italia come il banco di prova dell'Europa, la terza tappa del teatro degli orrori cominciato con la Brexit e continuato con l'elezione di Trump. Comparazioni che non fanno che rendere il quadro ancora più ingarbugliato.
Quello che è certo è che una crisi così profonda delle istituzioni politiche, del concetto stesso di politica e di societas come quella che stiamo sperimentando sia impossibile da incasellare all'interno di una dinamica riconoscibile e, per questo, meno spaventosa: l'illusione di potere controllare le spinte distruttive e asociali, a cominciare da quelle degli stessi politici, che siano di "destra" o di "sinistra" (categorie che ormai non hanno più senso alcuno), è venuto meno. Che questo porti ad una rivoluzione in senso positivo, ad uno spazio di possibilità, come intravisto dai Je so' pazzo, o ad una totale, apocalittica anarchia con annesso annientamento finale, non ci è dato saperlo. L'onestà maggiore che si può compiere in questo periodo è riflettere, soppesare le parole, tacere invece di parlare per colmare il vuoto. Leggere, informarsi. E, soprattutto, non far parlare l'odio al nostro posto, la pancia invece della nostra testa.

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