Lenti: impressioni della mostra sui fratelli Lumière

Forme e colori che prendono vita. Scene della quotidianità che diventano straordinarie in quanto riprodotte. Lenti e apparecchiature quasi di natura alchemica. Invenzioni che si possono testare ancora adesso, che non restano solo tracciate in qualche trattato manoscritto, ma la cui precisione e ingegnosità può essere documentata oggi, con i nostri occhi, con il nostro corpo. Scene di famiglia rubate, colori vividi che ci danno un'altra prospettiva della fine dell'Ottocento, non soltanto una conoscenza libresca, insomma. Una modernità che salta agli occhi, una vicinanza epidermica, di carne, di sangue, che salta secoli e torna, riesumata ma viva. Pagine intere di viaggi alla scoperta dell'esotismo, di una lontananza che allora era totale: Gerusalemme, qualche precettore ortodosso, Casablanca e le donne velate che si aggirano nei suq, un Giappone rurale che contrasta con lo stereotipo, ben consolidato, dell'iper-tecnologia. Una comicità che fa tuttora ridere sotto ai baffi. Tecniche fotografiche antesignane, perfette quasi da risultare innaturali. Un mondo nel quale si vorrebbe restare, stipulare un patto di perpetua affascinazione e di incredulità. Chiedersi come sia stato possibile creare tutto questo dalle menti e mani umane, più spesso associate ad atrocità e all'assenza di razionalità. Uno sguardo sul mondo che è molto di più, con radici in un senso profondo per il quale è difficile trovare le parole.









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