Efferata banalità

Questa domenica ho fatto una puntata al Festivaletteratura di Mantova. L'evento La fascinazione del male di Marcello Fois e Roberto Costantini ha attirato subito la mia attenzione:
Oscar Wilde sosteneva di preferire il paradiso per il clima e l'inferno per la compagnia, e probabilmente avrebbe seguito con interesse le macchinazioni politiche di House of Cards o gli intrighi di palazzo che scuotono ogni episodio di Game of Thrones. Se è vero che, nella ricetta di una perfetta sceneggiatura, sono necessari ingredienti come un antagonista dalla forte caratterizzazione e uno "scontro" -fisico, morale o interiore- che funge da motore per le vicende, è anche vero che in molte serie televisive di successo il male sia di per sé un elemento di fascinazione, capace di attirare l'attenzione di un numero sempre crescente di spettatori, poco interessati a immedesimarsi in eroi positivi
L'intervento si è articolato tramite una discussione interattiva con il pubblico e la visione di alcuni spezzoni tratti da House of Cards, per l'appunto, Gone Girl, True Detective e Il Padrino



Mi è sembrato che i due autori volessero soprattutto farsi un'idea dei gusti del pubblico in fatto di "cattivi interessanti" più che tracciare un'analisi del ruolo del cattivo nella trama letteraria e nelle sceneggiature cinematografiche e televisive. D'altronde gli stessi Fois e Costantini hanno subito voluto puntualizzare che non avevano risposte all'interrogativo principale, ovvero perché i lettori e gli spettatori restano affascinati da personaggi negativi, da anti-eroi. Anche se lo sviluppo della discussione sull'argomento non ha soddisfatto le mie aspettative iniziali, il confronto tra i due autori ed il pubblico è stato un interessante spunto di riflessione. Se non sono riuscita a rispondere all'interrogativo sul quale si è plasmato l'evento mantovano, mi sono almeno data una risposta per quanto riguarda me stessa. I personaggi antagonisti, come direbbe Propp, sono quasi sempre più interessanti dell'eroe. Innanzitutto hanno una storia dietro di sé certamente più accidentata e più ricca: se sono arrivati a compiere certi gesti, c'è sempre un motivo (da Hannibal Lecter, cannibale come reazione alla violenza, anch'essa di natura cannibale, che subì da piccolo, alla più classica regina di Biancaneve rosa dall'invidia per la bellezza delle altre donne del reame) dietro sangue e cattiverie, più o meno giustificabile, più o meno identificabile empaticamente da parte del pubblico. Come ha detto uno degli astanti, la logica del male è sempre, in un certo senso, etica: tesa ad un fine, tesa ad un espletamento di un bisogno più o meno coincidente con i valori della società, ma il mezzo di segno negativo o contrario. Il che fa risuonare le corde dell'incoscio: molti del pubblico mantovano concordavano sul fatto che, se non ci fosse un sistema di riprovazione e di controllo sociale, molto probabilmente anche le persone cosiddette "normali" compierebbero un reato almeno una volta nella vita. D'altronde, aggiungerei, se fosse altrimenti non sarebbe stato neanche dato alle stampe Il principe di Machiavelli. Di qui l'affascinazione, chiaramente, convoglia anche la seduzione data dalla modalità per raggiungere l'obiettivo prefissato, quindi le varie astuzie ed intelligenze concepite dal cattivo. Ecco, il cattivo è anche spesso caratterizzato da doti intellettuali non comuni.
Quello però che non è stato affrontato, se non molto di sfuggita e alla lontana, è la componente della banalità del male. A questo proposito, mi aiuta richiamare all'attenzione il personaggio di Lester in quel gioiello del piccolo schermo che è Fargo, interpretato dallo strepitoso Morgan Freeman. Un uomo che potrebbe benissimo rientrare nella fascia di Musil del "senza qualità", grigio, noioso, mediocre, dedito a null'altro che non sia il suo lavoro d'ufficio e il rapporto matrimoniale stantio, un bel giorno, preso dall'impulso di sbarazzarsi per una volta di tutte le insoddisfazioni e le frustrazioni apportate dalla sua vita piatta, uccide, ormai fuori di sé, la moglie. Un gesto assolutamente stupido, quasi frivolo: la mano che impugna il martello, tutto ad un tratto, impartisce colpi alla testa della consorte invece che a quella di un chiodo. L'atto barbaro si inserisce, subdolamente, nella morale implicitamente impartita dal poster alle sue spalle: un pesce che si chiede se tutti gli altri pesci avessero improvvisamente torto. E se, appunto, Lester si rendesse conto che da quella vita scialba che conduce può improvvisamente portare a qualcosa di più, a rovesciare la prospettiva? Tutta la serie è, infatti, giocata sulle strategie che Lester adotta per trasformare la sua vita. Tutto ad un tratto, non solo il male non è più così lontano ed antitetico, ma Lester impara a governarlo, ad abitarlo, e, infine, ad averne piena padronanza. Forse è proprio questo che il male letterario, immaginato provoca: quel guizzo di pura, terribile follia nelle persone meno apparentemente indicate per sortirne l'incantesimo. Un finale diverso, una conclusione inaspettata: questo è quello che il male, narrativamente parlando si intende, offre alla scrittura.
Paula Bonet

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