Tornare nel fango sperando di trovare perle?

A volte si ripensa alle decisioni fatte e ci si chiede se il percorso effettuato corrisponda realmente alle nostre necessità, etiche, politiche, esistenziali, ma anche proprie del divertissement pascaliano. Ho abbandonato da tempo il concetto di coerenza, per il quale facevo crociate spietate con me stessa durante l'adolescenza (finora non ho mai incontrato una persona che non abbia avuto questo periodo della vita un minimo travagliato), semplicemente perché, in quanto esseri umani, si è naturalmente portati all'imperfezione. Il che non è necessariamente negativo, anzi... L'assenza di perfezione è proprio ciò che spinge le nostre vele creative, i nostri desideri di fuga e, perché no, di elevazione. La perfezione, oltre che materialmente impossibile, produrrebbe solo stasi, quindi, almeno per quanto mi riguarda, preferisco tenermi la mia imperfezione e la mia incoerenza piuttosto che stare ferma.
Mi sono dilungata a parlare di coerenza perché tale concezione è strettamente associata a quella di scelta. Teoricamente, una scelta presupporrebbe un'ulteriore concatenazione di scelte, tra loro legate da un minimo comun denominatore, che è ciò che conferirebbe sostanza al vuoto contenitore della coerenza. Nello specifico, mi sono interrogata circa la scelta di non restare su Facebook e di criticarlo, spesso e volentieri duramente. E' una scelta che mi rispecchia totalmente. Ripensare ad una situazione in cui ero costantemente attorniata da persone che volevano dare a tutti i costi l'impressione di stare divertendosi un mondo, di essere i più belli (duole ammetterlo, per la mia forte componente femminista, ma in questo caso si dovrebbe parlare quasi esclusivamente al femminile), i più modaioli e socialmente attivi, ritornare alla sensazione di completo vuoto riempito unicamente da paranoie rispetto a relazioni sociali disturbanti che si volevano evitare (dall'ex secolare e storico per estrema, permettetemi, stronzaggine, alla compagna di liceo o delle medie che voleva sempre prevaricarti, al cugino stupido che ti fa costantemente vergognare, cenone natalizio per cenone natalizio, di portare il suo stesso cognome, per finire con colleghi di università con i quali si hanno avuto trascorsi burrascosi, per ragioni diverse e molto eterogenee) e che Facebook metteva costantemente alla ribalta grazie alle insidiose catene dei cosiddetti 'amici degli amici'... Ecco, no, tutto questo volevo proprio buttarlo nel letamaio più vicino e lasciarlo affogare nel proprio lerciume, di qui la mia scelta, di qui le mie critiche rispetto alla dittatura di Facebook, che, in quanto tale, veniva vissuta spesso (e non solo da me, ci tengo a precisarlo) come una schiavitù, una dolorosa tortura. 
Non essere su Facebook mi ha liberata da tutto questo o, almeno, mi sono liberata solo indirettamente, perché, alla fine, le notizie sgradevoli riescono comunque a far breccia nel tuo campo visivo, secondo logiche e dinamiche ancora meno prevedibili di quelle dei social network. In ogni caso, mi sentivo restituire una situazione di maggior autenticità. Tolti i siparietti di falsa felicità, tolti i ragazzi sbavanti nei loro commenti pietosi ad altrettante pietose foto di ragazze alla ricerca di conferme sulla loro 'femminilità' (messa tra virgolette in quanto, almeno per me, un totale costrutto sociale e, in quanto tale, comodamente decostruibile fino all'osso), alla fine avevo davanti a me la sola realtà e le sole persone. Il che non è poco, data la distorsione volutamente operata dai social network. Ma poi... Ma poi ci si accorge che l'illustratore, la casa editrice, il quotidiano, il gruppo musicale, tutto ciò che insomma, in quanto essere umano dotato di un cervello più o meno funzionante, può risultare interessante ha una pagina Facebook costantemente aggiornata. Questo fa oscillare e vacillare le certezze. Come fare a mantenere la coerenza rispetto al disgusto per Facebook e, al tempo stesso, desiderare le notizie di quell'illustratore, ecc. che paiono essere dispensate unicamente su Facebook? A quanto pare, non esistono altre versioni altrettanto aggiornate e che coprono praticamente tutto il raggio dei propri interessi rispetto a Facebook. Google+ riesce a coprire le cose più 'ufficiose', come organizzazioni culturali e no profit, ma, purtroppo, non arriva a lambire interessi più specifici, come per esempio quell'illustratrice scoperta per caso in una libreria defilata e a conduzione familiare. Forse proprio perché su Facebook vige una dittatura, tutto è coglibile ed allettante. L'illustratrice ci guadagna in pubblicità maggiore (ci sono tanti cretini su Facebook, ma altrettante persone intelligenti, che spaziano dal conformismo rispetto all'essere presenti su Facebook, all'essere anarchiche sfruttatrici dei mezzi ma non dei fini, ecc.), Facebook ci guadagna nell'essere l'incontrastato rivale dei social network.
Per cui, sorge spontanea una domanda: arrivare ad un compromesso (quale iscriversi sotto falso nome/pseudonimo, ecc.) o continuare indefessamente sulla strada intrapresa, ma con la consapevolezza di perdersi qualcosa, magari importante, magari secondario ma interessante? Tempi duri per chi non soffre di egocentrismo.

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