Soglie

A volte le giornate scorrono come sonni profondi senza sogni, come in quelle situazioni dove ci sembra di essere contemporaneamente dappertutto e da nessuna parte o quando mangiamo rispondendo ad un riflesso e non per assaporare il piatto che ci sta davanti. Si è come immersi completamente nelle attività che si stanno facendo, senza però che i pensieri e le percezioni partecipino alla tavolata. Si procede lungo la corrente della quotidianità. Ma ogni tanto, il bisogno nascosto di appartenere a qualcosa, ad un pensiero, ad un sentimento, alla terra che si calpesta, al libro che si intravede dalla vetrina, al sorriso di quell'estraneo o estranea che ci passa davanti nel tragitto dal punto A al punto B, insomma il bisogno di imprevedibilità, di casualità emerge di soppiatto, come lo stomaco di uno studente assorto da ore in biblioteca.
E' in quell'istante che si vorrebbero trovare le parole, le sfumature di colore, le sonorità giuste, quel senso di intimità, di calore che danno le cose che si scoprono un poco alla volta, ma ci si scontra con l'obsolescenza della propria persona, concentrata unicamente nell'assolvimento del compito primario. 
Passo davanti alle villette a schiera, ai pub, ai cortili e, per quanto so che la mia mente deve concentrarsi nel prossimo capitolo della tesi da scrivere, una parte del mio cervello si aggrappa alle soglie e agli interni illuminati, alle famiglie riunite a tavola, alla sfumatura dell'orchidea sul davanzale o del luccichio dello sguardo di un gatto nella penombra di un assonnato salotto. E parte di quel calore che vorrei, ma che non posso per il momento afferrare, mi scalda un po' le viscere sotto al cappotto. Una folata di vento e di foglie infuocate passa e con essa la giornata.

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