Il dibattito no


E' da un po' che vado formulando in me un grosso interrogativo: è ancora possibile oggi fare un dibattito, condividere o non condividere i propri punti di vista, confrontarsi? Ho come l'impressione che oggi, specialmente nelle nuove generazioni (quindi anche la mia), sia impossibile ottenere qualcosa del genere.
Per dibattito non intendo la prevaricazione alla quale spesso si assiste nei talk shows o nei dibattiti politici. Tutto ciò è l'esatto contrario di ciò che dovrebbe essere un dibattito. Per dibattito mi riferisco ai Dialoghi di Platone, o, più prosaicamente in senso lato, ai pavesiani Dialoghi con Leucò. Momenti in cui si mette da parte la propria soggettività a favore di una disamina, a volte analiticamente spietata, di argomenti vitali per gli esseri umani, come il concetto di vita e quello di morte, la nozione di libertà e via di seguito. Si assiste spesso ad uno scontro o a degli intoppi di percorso. L'interlocutore o la prende sul personale, o ha paura che l'altro possa prenderla sul personale, per cui le riflessioni si arenano su loro stesse, non evolvono. Invece di vedere quel dialogo come una possibilità, unica nel suo genere nel senso che è prodotta da particolari soggettività in una particolare frazione spazio-temporale, di trascendere sé stessi e, attraverso l'unione del proprio sapere e della propria visione con quella degli altri interlocutori, arrivare ad una dimensione il più possibile uniforme della molteplicità di sfumature di un fenomeno, dal dibattito bisogna difendersi. Non si espone la propria idea che tende all'astrazione, all'ipotesi, al dubbio, ci si ferma alla dimensione, diciamo così, più privata di tale idea, ovvero il fatto che sia legata alla nostra persona.

Da ciò deriva un profondo malinteso, ovvero il fatto che il non condividere la propria posizione o cercare, con mezzi maieutici, di sfidarne il tessuto logico per saggiarne la qualità coincida con un attacco alla propria persona. Di qui l'offendersi e il trincerarsi, perché quello che viene minato non è l'impalcatura epistemologica della propria idea, quanto l'impalcatura della propria struttura dell'Io. Di conseguenza, si tende a circondarsi di persone che la pensano o tendono a pensarla, secondo un'alta percentuale, come noi. Chi non la pensa così, diventa un fastidio o, peggio, una minaccia, al quale ripetere 'Questa è la tua opinione. Ok, parliamo d'altro' oppure 'Non conosco a sufficienza l'argomento, mi dispiace'.
Non sono ancora venuta a capo delle motivazioni culturali/storiche/sociali che spiegano quest'incapacità di sopportare, nel senso più letterale ed astratto, la capacità di un dibattito, ma noto sempre con maggior preoccupazione che questa paura del dibattito la si riscontra, al di fuori dei politici e delle persone di spettacolo, soprattutto tra i giovani. Come si può sperare in un avanzamento costruttivo della società, se le persone che dovrebbero avere idee fresche non hanno il coraggio di saggiarle con la dialettica?

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