Data di scadenza

Lottando con i supermercati inglesi, dove le insalate scadono dopo pochissimo, e, al contempo, con le mie personali dati di scadenza per il dottorato, mi sono ritrovata a chiedermi se valesse la pena ragionare sul concetto di data di scadenza. 
Alla fine, siamo delimitati continuamente da date, da ricordare, da fissare, da avere in testa per organizzarsi. La nostra identità si costruisce anche attraverso le date: credo che la generazione anni Ottanta conosca bene il senso di imbarazzo generato a pensare che, nel momento in cui si veniva al mondo, andavano di moda le tutine elasticizzate, i capelli a triglia, il totale disinteresse politico giovanile. Oltre all'imbarazzo, anche la consapevolezza che in quegli anni prendevano forma i semi dei cambiamenti epocali avvenuti negli anni Novanta e preannunciati dalla caduta del Berliner Mauer nel 1989. 
Noi stessi, se vogliamo ragionare in termini macabri e fatalisti, abbiamo una data di scadenza, che sapranno gli altri, non noi. Si può filosofare se questa data di scadenza sia stata decisa nottetempo da un'entità trascendente e superiore (cosa che, personalmente, non credo), dall'entropia cellulare influenzata dalle nostre scelte rispetto al nostro stile di vita (a volte non è nemmeno così, per cui anche quest'ipotesi è ipotecabile), da un evento nefasto ed imprevedibile, ecc. Ma rimane il fatto che scadremmo anche noi.
Il punto, o, meglio, il problema non è tanto lo scadere in sé, quanto il vissuto che noi abbiamo del concetto di scadenza. Se diventa un modo per smettere di vivere in funzione dei nostri sogni, desideri e necessità e mettersi al servizio di un astratto senso del dovere, del quale non possiamo, apparentemente, invertire le lancette a nostro vantaggio, per esempio, il concetto di scadenza acquisisce un potere decisionale essenziale, direi quasi di vita o di morte, cosa che si sperimenta spesso in una società burocratica come la nostra. Se diventa un modo per autoregolarsi e porsi delle sfide personali, il concetto si sfuma più nella personale visione di competitività e di auto-gratificazione. Se diventa, al contrario, un elemento marginale, che c'è e che non può essere messo in discussione, ma che non intacca la propria sfera valoriale, ecco che il tempo si personalizza, va al rallentatore o accelera secondo criteri che non sono esterni, 'oggettivi'. Forse quest'ultima opzione è quella che piace di più, potenzialmente. Ma è anche vero che la data di scadenza rimane e che, in un modo o nell'altro, interromperà o metterà in guardia il proprio orologio personalizzato. Forse queste interruzioni improvvise sono anche utili, alla luce del fatto che non esistiamo solo noi, che il delirio di onnipotenza non si sposa per niente bene con la biosfera nel quale ci troviamo e della quale siamo fatti.
Per esempio, non esiste solo il mio desiderio di fare la spesa solo una volta alla settimana, ma anche i conservanti delle insalate inglesi. Per cui o sto senza insalata, o scendo a patti con il mio fastidio che provo nel dover recarmi al supermercato. Anche questo post ha una sua data di scadenza, in fondo. Potrebbe lasciare il tempo che trova, se sono ammessi giochi di parole.

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