Parole al vento

Gli aerei sembravano pattinare sulla pista d'atterraggio. La neve cadeva copiosa e costringeva lo staff aeroportuale a sgombrare continuamente il campo con gli spazzaneve. I voli subivano ritardi, logicamente. Ma quando si è in viaggio, la logica viene messa da parte per un nervosismo che si sente, in un certo qual modo giustificato. Giustificato dal prezzo del biglietto, dalle file ai controlli di sicurezza e relative probabili sfuriate per un braccialetto sbadatamente lanciato al suo posto per quindi essere dato in pasto ai metal detector. La brutalità degli addetti si depositava, come acido lattico, negli umori, già traballanti, dei passeggeri per poi sfogarsi contro a qualche altro passeggero più lento o più distratto in quella lunga catena di montaggio umana che sono gli aeroporti.
Quella sera gli avventori erano compositi. Famiglie, pensionati arzilli, uomini e donne d'affari, comitive di giovani e di ragazzi. Si era in prossimità delle vacanze natalizie, quindi era tutto un via vai di vacanzieri e di connazionali che tornavano dalla loro esistenza all'estero per riabbracciare volti e luoghi a loro amici e dimenticare le proprie preoccupazioni per canoni intimi ed accoglienti, del sapere dell'infanzia.
Non si sarebbe detto di quella ragazza a capo chino. Il volto contratto in un'espressione indecifrabile, pensosa, nervosa nel suo ermetico dibattersi tra emozioni contrastanti. Non aveva con sé un bagaglio a mano, solo una piccola borsetta di color carta da zucchero con i suoi essenzialissimi effetti personali. Se non fosse stato per il berretto rosso brillante, niente della sua persona si sarebbe notato, dato il già menzionato capo chino, le spalle chiuse su loro stesse come esili ma coriacei carapaci, le punte dei piedi introflesse ed esitanti. Tutto il suo corpo era assorbito nello sforzo di isolarla dal resto, sicuramente per facilitare il raccoglimento indotto dalla riflessione.
Placide lacrime le rigarono il volto. Una mano fece uno scatto in avanti, come per scacciare un'impertinente mosca o un demone, per poi posarsi sulle guance umide per cercare di arrestare il flusso lacrimoso. Non ebbe altro tempo per crogiolarsi in quel dolore improvviso o, forse, già annunciato. Venne il suo turno per il controllo dei passaporti, per poi essere inghiottita nelle usuali pratiche aereoportuali. Nonostante gli occhi arrossati ed il naso umido dallo sforzo di reprimere un pianto meno discreto, la ragazza compì ogni operazione con pronta efficienza, lasciandosi dietro unicamente un certo quantitativo di perplessità negli addetti, troppo assuefatti alle più disparate imbranataggini per non rimanere colpiti dal comportamento dell'esile ragazza.
L'attesa si condensò in un silenzio glaciale. Dall'esterno pareva che la giovane non avesse nessun tipo di legame da giustificare l'utilizzo del cellulare, anche solo per avvisare rapidamente dei tempi dell'imbarco. Dopo un giro nervoso tra i vari negozi dei gate si sedette in un posto di fronte al tabellone delle partenze ed estrasse un taccuino dalla borsetta. Di nuovo il fragile corpo fu di nuovo assorbito nel raccoglimento pensoso, soltanto il polso della mano destra frullava veloce sulle pagine bianche del taccuino. Ogni tanto i passanti, piegati dal peso del bagaglio a mano, da quello degli acquisti fatti o da entrambi, gettavano sguardi meravigliati su quei grandi occhi cerchiati da occhiaie e sul mulinello d'aria generato dalle gambe nervose e contratte. Venne poi il turno di imbarcarsi. La ragazza sbarrò gli occhi, come appena svegliatasi da un sogno e cominciò a tremare, seppur non dando troppo nell'occhio. Varcò le postazioni delle hostess all'ingresso del gate come se si stesse lanciando nel vuoto.
Cosa la stava attendendo al di là delle nuvole solcate da qualche timido raggio di sole ormai al tramonto? Il corpo si fece pesante, scuro nel gioco di luce e di ombre dell'abitacolo dell'aereo e dolorosamente compatto. Poco prima dell'inizio delle operazioni d'atterraggio, la giovane frugò rapidamente nella borsetta per poi estrarne il taccuino. Cominciò a fare a pezzi quello che aveva scritto poche ore prima, con una cura meticolosa e maniacale come se volesse trasmettere ad ogni fibra del suo corpo la portata distruttrice di quell'atto. Nascose tutti i pezzetti di carta lacerati nella borsetta e si alzò per andare alla toilette. Lo fece per disfarsene? Da cosa stava fuggendo? Si stava liberando da pesanti catene o sapeva che ne sarebbe stata imprigionata una volta atterrata nell'altro paese? Non ci è dato saperlo.

Commenti

Post più popolari