Asghar Farhadi


'Una separazione' l'avevo guardata per caso, una sera d'inverno. Fino ad allora, sapevo a grandi linee la storia del cinema iraniano, i suoi legami con il neorealismo italiano, ma non avevo mai avuto la possibilità di guardarlo. Certe casualità si rivelano le migliori scelte della nostra vita. E così si è verificato nel mio caso con i film di Asghar Farhadi, forse il regista iraniano maggiormente conosciuto (e premiato) in Occidente. 
Per quanto KiarostamiPanahiGhobadi siano eccellenti esponenti del cinema iraniano e condividano con Farhadi una certa tonalità nella descrizione della realtà, tuttavia vedo in quest'ultimo una nota, una melodia distintiva, a sé, in un certo senso. Allo spettatore non vengono servite le solite portate che riempono le pance delle aspettative occidentali sull'Iran (come la questione del velo, l'Iran post-Scià, ecc.), quanto piatti raffinatissimi, dal sapore discreto. I conflitti attraversati dal paese vengono espressi in controluce, nell'ambiente familiare di un tinello, resi relativi ed al tempo stesso dialoganti con le tragedie familiari, personali, le quali prendono il sopravvento, strappano il primo piano, per reclamare un loro fascino, un loro sapore noir ed esistenzialistico che le assurge ad opere d'arte, per quanto tragiche. 
Lo scavo sulla psiche dei personaggi, sulla significanza e pregnanza dei silenzi, degli sguardi è talmente eccellente che, non a caso, l'operazione viene ripetuta in ambiente francese, come nel caso dell'ultima opera di Farhadi, 'Il passato', ambientata in una Francia dei figli della seconda generazione di immigrati. La quotidianità si ammanta di sfumature da thriller, ci sono sempre tasselli che devono essere individuati con attenzioni, in modo che i film possano trasporsi su più piani di significato, di simbologie. La tensione viene gestita come una composizione musicale e non è detto che la conclusione, i crescendi che dovrebbero portare ad una risoluzione definitiva permettano di tirare il fiato, i remi in barca, un'idea od immagine ferma e chiara. Lo scavo si riproduce nel cuore dello spettatore, il quale può a sua volta ricamare trame contorte.
Forse si tratta solo di un mio errore di valutazione, dettato dalla fretta dell'entusiasmo, ma credo che Farhadi sia il regista contemporaneo che ha più similitudini con quel mostro di Ingmar Bergman.

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