Smetto quando voglio

Mi sono decisa a guardare Smetto quando voglio, di Sidney Sibilia. Forse perché, tra il post-laurea ed il dottorato in Inghilterra, ebbi modo di assaggiare una fetta della torta accademica italiana. Non inizierò con il solito luogo comune che l'Italia è nulla sul fronte della ricerca, ecc. Come ho già avuto modo di sviscerare in un post precedente, le magagne ci sono dappertutto, la variabile consiste nella modalità in cui tu, aspirante dottorando o dottorando a tutti gli effetti, vuoi essere preso in giro od irritato.

Il film di Sibilia, per quanto poi scada in un filmetto piacevole ma che ha un po' l'odore di commerciale e leggero addosso, specialmente nella seconda parte, dipinge molto spietatamente e molto efficacemente il fastidio del dottorando/ricercatore italiano, il perenne zerbino-servotuttofare-lecchino di qualche blasonato ed anziano cattedratico e nel tentativo continuo di aggiustarsi e/o destreggiarsi tra le fazioni politiche vincenti della facoltà. L'università italiana ne esce come un gigantesco circolo massonico, ma tant'è. C'è chi preferisce restare in patria, avere i suoi affetti, il suo stile di vita, o, addirittura, ha una segreta vocazione per il politichese e quindi nelle alleanze e nei cambi strategici ci sguazza. Ribadisco, non è mia intenzione costituire un tribunale dell'Inquisizione con le mie parole, perché il precariato, le difficoltà di farsi stimare ed apprezzare per il proprio merito ci sono (eccome se ci sono) anche all'estero (esatto, non fate quelle facce sconvolte). Io semplicemente non ho mai amato sentirmi parte di una corporazione, anarchica persino con le mie idee, e men che meno spremere  le mie (pochissime) capacità da animale sociale per lustrarmi le penne ad ogni riunione di commissione, esame, ecc. Ho scelto di morire di un'altra morte, ovvero il lavoro quasi kafkiano, l'essere trattata come una semplice studentessa, di essere appellata come Miss invece di Dottoressa, di sudare sette camicie prima di poter ottenere il permesso burocratico per vedere se insegnare mi piaccia o meno, carte, ciarpame burocratico anche per respirare, nessuna creatività italiana (qui intesa in senso buono). Questo non mi ha impedito di ridere ed identificarmi nei miei colleghi rimasti in Italia, e il film di Sibilia rappresenta perfettamente una presa molto auto-ironica d'autocoscienza: essere talmente assorbiti dallo zoo accademico da non riuscire più a capire come orientarsi nella realtà (e questo accade nelle cattedre di tutto il mondo), al punto da improvvisarsi spacciatori per riscattare economicamente il proprio Q.I. Consiglierei di avere un occhio di riguardo per i latinisti, ciliegina sulla torta dell'improbabile banda di ricercatori.


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