L'armata dei sonnambuli, Wu Ming

Premetto che mi sono accostata al collettivo Wu Ming spinta dalla curiosità rispetto a tanta fama e a qualcosa che mi sembrava, da profana, una moda bella e buona. Dato che ogni tanto cerco di motivare a me stessa l'alienante sensazione di vivere su un altro pianeta, e quindi cerco, conseguentemente, di imparare l'idioma parlato dal resto dell'umanità, come a smantellare il muro trasparente che mi sembra separi costantemente me e "gli altri", ecco che ho preso tra le mani L'armata dei sonnambuli
Mi sono dovuta ricredere piacevolmente. Questa branca del lessico umano è buona da masticare. Oltre ad una sapiente scelta dei personaggi ed un'astuta inquadratura narrativa, che possa attirare sia chi non frequenta caffè letterari, sia chi si lascia andare a fini disquisizioni da salone del libro (anche se forse questo rimando al salone del libro non ha più ragion d'essere, dato che ha presenziato persino quel venditore d'aria fritta ed insulsaggini di Fabio Volo), senza però perdere una sua consistenza poetica. Innanzitutto, la mente è velocemente andata a Mistero Buffo di Dario Fo, per la pantagruelica capacità di mischiare alti e bassi registri, dialettalismi e dialetti veri e propri. Saggia decisione, dato che i personaggi si muovono tra aristocrazia spodestata da Madama Ghigliottina e rivoluzionari popolani.
Quello però che mi ha convinta ed affascinata, al contempo, è stata l'allegoria implicita nelle parti narrative dedicate al personaggio di D'Amblac, dottore versato nella specialità pseudo-occulta e contemporaneamente rigorosamente scientifica del mesmerismo. La Francia del post-rivoluzione/annuncio di terrore sta attraversando una confusione etica: quello che prima sembrava bene si è tramutato in male. L'uguaglianza, la fratellanza, la libertà sbiadiscono sempre più nel terreno degli slogan politicanti, per poi essere soffocati dal sangue, dalla violenza. Il periodo storico intrattiene con il mesmerismo un rapporto metonimico: i Lumi rivelano tanta oscurità. Mentre a Parigi, almeno inizialmente, si cerca di concretizzare una filosofia progressista e razionale, le campagne sono colpite da un'assoluta mancanza di coerenza, persino nel decretare chi sia il carnefice e chi la vittima, quale sia l'antidoto e quale il morbo. Al centro del rovello etico vi è soprattutto la preoccupazione che un mezzo così apparentemente ugualitario, come quello delle cure mediche, possa tramutarsi in una potente macchina distruttiva e reazionaria.
Quando chiusi il libro, mi ero immaginata tutt'altro post, forse di una lunghezza media o comunque sufficiente per decantare le lodi di questa allegoria di sottofondo, raffinatissima e tutt'altro che scontata, ma forse le parole scritte fin qui sono sufficienti per non commettere l'errore di spoilerare la lettura a chi si vuole cimentare nell'impresa.


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