Falafel

A volte leggere i giornali, restare aggiornati tramite i notiziari televisivi e i post delle pagine di quegli stessi notiziari e quotidiani, fare un calcolo dei nomi, mentalizzare e ricercare su internet nomi, spazi, tempi, accadimenti non bastano per capire la gravità e la pregnanza di un evento storico, di una tragedia. Mi riferisco ai massacri che Israele, nel nome della difesa e delle tutela del suo territorio e dei suoi cittadini, sta mietendo ai danni della popolazione civile di Gaza. 
Non penso sia sempre possibile entrare dentro la notizia, farla propria e berne fino all'ultimo goccio. Ma, quando si ha la possibilità di qualche sprazzo dalla sorgente, poterne raccogliere un po' per noi stessi sia meglio di imbracciare qualsiasi giornale o statistica. Nel mio caso, lo zampillo si è materializzato nel proprietario di un bar-ristorante palestinese che frequento da tempo. Lo sguardo a metà strada tra il rassegnato e sull'orlo di una rabbia, controllata forse dall'età e dall'esperienza delle cicatrici passate. I clienti, giovani come me, diventano il suo pubblico, la sua cassa armonica della denuncia, del desiderio di lottare. "Non sapete quanti studenti israeliani sono venuti e vengono qui, commossi per la cucina che gli ricorda il loro paese. Mio figlio" ed un sorriso si disegna sul viso austero, lo increspa in modo complice "si stava innamorando di un'israeliana..." Versi di altrettanta complicità rimbalzano sul bancone. "La comunità internazionale, l'Europa, tutti stanno zitti. Solo con Aljazeera fanno vedere un po' come stanno le cose. Si sta compiendo un genocidio, nessuno fa nulla. Arrivano voci terribili da là." Una ragazza suggerisce (probabilmente forte dei collettivi studenteschi dei quali ha ingrossato le fila in un vicino passato) che lui potrebbe mettere la sua capacità culinaria (più volte confermata da anni di servizio, spesso lo sento al telefono intercalare l'arabo con l'italiano, uno switch code del quale suo figlio, comparsa sporadica del locale, ne è indiscusso padrone) al servizio della pace, del fare pace "Perché non serve il dibattito, serve capire e per capire ci vuole il fare. Mettere le mani in pasta.. Sapere fare un falafel."
Resistere significa anche continuare la propria esistenza. Le parole si mescolano ai dolcetti alle mandorle, ai conti da farsi pagare, agli involtini di vite da consegnare, ai té alla menta da servire in un grande, fedele, bicchiere trasparente. "La Palestina vincerà." la sicurezza che solo una fede profonda nel proprio ideale può sostenere.
Trascino i piedi fuori dal locale. Ma dentro di me è tutto un ribollire di bombe, di un conflitto che sembra non esaurirsi mai da mezzo secolo, e tanti, tanti punti di sospensione, interrogativi. Il luccichio negli occhi del pacato gestore fanno presagire una storia che nessun giornalista potrà mai predire. La mia parte non pessimista del cuore sostiene questa contro-storia che nutre quel cibo così buono che allieta i palati del Sabato sera.


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