Vetro appannato

Stavo passeggiando a braccetto con un'amica, la sera di fine Aprile, per quanto piovosa, mi pareva carezzevole e clemente. Gettai uno sguardo al vetro che preserva i segni delle pallottole che uccisero lo studente Lo Russo negli scontri del Marzo '77, come tutte le altre volte che passo per via Mascarella a Bologna. Qualcosa mi stonò subito: un'enorme scritta bianca copriva l'intero perimetro del vetro, con insieme una scritta '77 volte merde'. Sotto, altri graffiti, di quelli che non mi piacciono (non sono contraria ai graffiti sui muri, però devono essere opere d'arte, non scritte senza senso né estetico, né semantico). La mia mente, mentre continuavo a chiacchierare con la mia amica, pur facendole notare lo scempio irrispettoso di un luogo che segretamente venero laicamente da tanti anni, fece un istantaneo collegamento con il graffito su Palazzo Poggi, che scorsi diverse settimane prima e che già mi aveva dato da pensare. Quest'ultimo graffito era il ritratto di Francesco Lo Russo accompagnato da una scritta (sono pessima nel ricordarmi i nomi, figuriamoci nel citare a memoria delle parole) del tipo 'continuiamo la lotta di Francesco', evidentemente parto del movimento studentesco che ha occupato l'ateneo mesi e mesi fa e che già avevo avuto modo di conoscere quando ero ancora una studentessa.

Sono combattuta tra due diverse voci nella mia testa: da una parte, il mio cervello apprende questa riappropriazione di un simbolo delle proteste studentesche del '77 con letizia (per lo meno, sanno di chi si tratta), dall'altra mi chiedo quanto l'uso di un simbolo del genere possa essere realmente 'sincero', genuino, da parte di un movimento che trovo, invece, molto diverso da quello che visse la generazione dei miei genitori. Sono entrambi movimenti arrabbiati, sull'orlo di una crisi di esaurimento rispetto alle restrizioni e ai soffocamenti imposti dalla società, su questo non nutro alcun dubbio. Però, forse perché su questo sono un po' nostalgica di un'epoca alla quale sento di appartenere più di quella presente, ritengo che la rabbia dei miei genitori, per quanto distruttiva per antonomasia, avesse come punto di fuga la costruzione. La rabbia di questa generazione mi sembra incendiaria, una Fenice che non riemerge dalle sue ceneri ma che, piuttosto, resta brace ed inghiotte tutto ciò che incontra. Una dinamite cinica, disincantata... Inglobare Lo Russo in tutto questo, temo, corre il rischio di disintegrarlo, di trasformarlo in ciò che non è. Che quegli orrendi graffiti non fossero il risultato di uno scontro tra arrabbiati (un effettivo gruppo di reazionari arrabbiati ed esponenti del movimento studentesco che si fronteggiano tra loro?)? Non so darmi risposta. L'unica cosa che mi viene da dire è di lasciare riposare in pace Francesco Lo Russo e lasciarlo all'eredità che ci ha lasciato la generazione del '77. Eredità, appunto, non resurrezione di un Golem.

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