Romanzo (forse) incompiuto a puntate - Parte V (a)

Capitolo quarto

Tra dire e il fare c'è di mezzo il male. Iris l'aveva potuto constatare il primo giorno di elementari. Fino ad allora, le scuole materne erano state una parentesi noiosa e più o meno innocua. I suoi compagni, pur registrando la sua "stranezza", erano più interessati a giocare che a porsi delle domande sul suo stato, tanto più che Iris era sempre stata una bambina molto silenziosa ed indipendente. Il vivi e lascia vivere che si era imposto nelle relazioni tra lei e gli altri veniva accolto quasi con gioia. Meglio avere una compagna di giochi in meno che una possibile guastafeste. In quei tre anni di paradiso incontrastato, Iris passava la maggior parte del tempo a dipingere in un angolo della classe o a cercare di imparare a scrivere, un'arte ancora più preziosa per lei, non potendo avere a che fare esclusivamente con esseri umani che conoscevano il linguaggio dei segni.
Purtroppo la coordinazione delle mani era quella di una bambina di quasi sei anni, e la cosa risultava in lettere sconnesse e poco armoniose. Era in quei frangenti che Iris desiderava con tutto il cuore di iniziare le elementari, tanto più che da allora in poi avrebbe interagito con maestre che dovevano acculturarla e non farla "divertire"... Per lei non era affatto motivo di distrazione partecipare a lavori di gruppo nei quali si doveva impersonare un animale o una principessa fatata e l'atteggiamento gioviale ed infantile delle maestre la esasperava soltanto. Carlo ed Elsa erano, se si può dire, l'esatto opposto. Ogni minuto passato con lei diveniva un pretesto per inculcarle certi concetti della massima importanza per loro, come ad esempio l'Olocausto. Volevano che capisse quanto la diversità possa essere una ricchezza inestimabile e, in quanto tale, possa divenire anche una minaccia al potere costituito. Di qui i pomeriggi passati a leggerle romanzi di bambine ebree sfuggite alla follia nazista, a farle vedere documentari storici sull'ascesa del nazismo e tante altre attività che non passerebbero mai normalmente nella mente dei genitori di una bambina in procinto di iniziare l'ABC.
Nonostante le intenzioni di Carlo ed Elsa fossero buone, la presa di coscienza di quel che avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale irrobustì in Iris la convinzione che gli altri detestassero i "diversi" e che questi, a causa di un destino infausto, dovessero continuamente stare sulla difensiva, invece di camminare a testa alta, come era nei desideri utopici dei suoi genitori. "Potevo benissimo essere gasata e finire nei forni crematori" era il pensiero più ricorrente della bambina ogniqualvolta sentiva notizie di pestaggi e di violenza, o durante il telegiornale o sul quotidiano che Carlo leggeva ad alta voce ad Elsa dopo pranzo (uno dei tanti rituali coniugali), orditi unicamente perché la vittima non aveva il colore della pelle, le convinzioni politiche, l'orientamento sessuale, le abitudini sociali o la conformazione corporea/mentale "concorde" a quella degli aggressori.
Il portone della scuola elementare si aprì davanti agli occhi con l'idea che stava per avere inizio un punto di non ritorno. Da quel momento avrebbe dovuto farsi valere in quella giungla che era il consorzio umano. Anche nelle società animali i deboli venivano spazzati via, ma c'era una legge inesorabile che regolamentava il tutto: la selezione naturale sembrava ad Iris un balsamo molto più accettabile di quella cattiveria gratuita fomentata dai suoi simili e che era tanto più atroce perché ti permetteva di restare vivo. Meglio morire all'istante mangiata da un predatore, abbattuta da un ramo spezzato di un albero, annegata in un'alluvione, cadendo da un precipizio che essere tiranneggiata costantemente tutti i giorni. Il primo male passava in un lampo, il secondo no e si espandeva in senso spazio-temporale... L'invidia provata per Groucho raggiungeva altissimi picchi d'intensità. 
Anche Carlo ed Elsa temevano moltissimo "il grande evento". Sebbene volessero fortemente che loro figlia fosse orgogliosa della sua diversità, erano terrorizzati all'idea che qualche bambino prepotente ed ignorante le potesse fare del male. Ciò che li sconvolgeva, in particolar modo, era l'impossibilità di proteggerla quando si trovava a scuola. La sua gracilità corporea li faceva disperare sulla probabile possibilità di venire percossa brutalmente. Ma non avevano considerato minimamente la durezza d'animo che si andava formando dentro a quel fragile rivestimento corporeo.

Quel giorno Alice non stava più nella pelle... Avrebbe rivisto tutta la sua combriccola delle materne e l'idea di trascorrere un'eternità (per un bambino di cinque anni possono davvero corrispondere ad un secolo di vita...!) di tempo giocando a ruba bandiera, a palla avvelenata e a fare i dispetti ai maschi del gruppo era davvero eccitante! Non vedeva l'ora di scambiare con le sue compagne le storie più divertenti delle vacanze trascorse. Lei era stata al mare, costruendosi leggende inventate sugli anfratti rocciosi lungo la scogliera, pescando un'infinità di granchi per poi ributtarli in mare, dando fragorose spanciate tuffandosi, facendosi regalare dai vecchi pescatori deliziosi e croccanti pesciolini da sgranocchiare guardando il tramonto. La sua vita era talmente perfetta che non si poneva mai domande. Agire era il verbo che più le si confaceva. Non era riuscita a dormire dalla frenesia dell'attesa di quel giorno più volte sognato. Si precipitò fuori dal letto ed iniziò a tormentare la mamma perché la vestisse e la pettinasse. Quel grembiule bianco con violette ricamate sul taschino la faceva sentire un'adulta... Altro che grembiulino rosa con le paperelle. Va bene per la mocciosa che non è ancora in grado di allacciarsi le scarpe e di distinguere la mano destra da quella sinistra. Il tocco di classe venne dato, tuttavia, dalle ballerine di vernice nera e dal cerchietto dorato.
Per un po' si scordò completamente della tazza di latte caldo e dei biscotti a forma di letterine che le piacevano tanto. Voleva rimirarsi e rimirarsi allo specchio, scompigliando i lisci capelli biondo miele e atteggiarsi a gran diva, ricordandosi alcune foto di alta moda che aveva intravisto dalle riviste della madre. Lo zaino rosa con su stampate le sue eroine dei cartoni era il giusto coronamento della sua autocelebrazione. Soddisfatta, si fece condurre per mano dal padre in macchina, seguita dalla madre, stretta in un tubino aderente e con ai piedi delle decollette di colore abbinato. Alice aveva un'adorazione sconfinata per la sua mamma: non esisteva al mondo una donna più bella di lei. Amava sedersi accanto a lei quando si truccava: le mani abili ed esperte che scorrevano sulla pelle d'avorio, le turgide labbra dischiuse in un modo per lei ancora inspiegabile ma dannatamente attraente. Ogni volta che poteva, cercava di intrufolarsi nella sua trousse per rendere le sue labbra due preziosi ramoscelli di corallo. Ma qualcosa andava sempre storto ed il risultato finale era quello di un clown, seppur grazioso. Ma ora si sentiva troppo sicura di sé per percepirsi come un clown: le sue amichette sarebbero scoppiate d'invidia, mentre i maschietti le avrebbero tirato i capelli o dato un pizzicotto sul braccio, segno evidente di un maldestro tentativo di farsi notare. Avevano un gran dire che le femmine erano noiose e svenevoli: la verità era che volevano averle attorno per sentirsi come i grandi. D'altronde, ad ogni principessa che si rispetti ci vuole un cavaliera che sconfigga un drago per lei. A questo pensiero, Alice sorrise fra sé e sé compiaciuta, gli occhi azzurro-mare sfavillanti di trionfo.
Ecco, l'auto di grossa cilindrata del papà si fermò per fare scendere lei e la madre. Davanti alla scuola si erano radunate molte altre mamme, anche loro eleganti, ma mai belle come la sua. Molte erano amiche di quest'ultima, una manager rampante di un'azienda farmaceutica. La sua bellezza statuaria e il suo rango sociale le erano valse rapporti di reverenza estrema tra le altre donne sposate e con figli/figlie della zona: era divenuta l'indiscussa leader in gonnella del quartiere.
Alice si liberò in fretta dalla stretta della madre e corse incontro a Vittoria, la sua "amichetta del cuore", per l'occasione infiocchettata in un nastro rubino che esaltava al lunga chioma corvina. Stavano pavoneggiandosi entrambe dei loro zaini fiammanti quando il piazzale ristette in un lungo silenzio. Alice si guardò intorno sorpresa ed avvistò una famiglia che finora non aveva mai visto nel quartiere. Una donna bionda, pochissimo truccata, ma comunque graziosa, con uno strano completo maschile che contribuiva a rendere ancora più minute le forme, un uomo occhialuto dallo sguardo trasognato e che sembrava uscito soltanto ora dall'università e quella bambina... Alice la sbirciò a lungo, con famelica curiosità. Aveva una bellezza del tutto particolare, ma non per questo priva di magnetismo: un caleidoscopio inafferrabile di colori, sia nella massa morbidissima di capelli boccolosi che le arrivavano fino al bacino, sia negli enormi occhi cullati da ciglia naturalmente folte. Nonostante tutti questi elementi di grazia, quella bambina sembrava non curarsene affatto. Questo bastava ad Alice per disprezzarla: "Sei una bambina o cosa?" pensava dentro di sé con un leggero scatto d'ira.
Il vestito verde che le arrivava fino alle caviglie la faceva sembrare una di quelle fatine dei boschi delle fiabe che le leggeva sua nonna. Si chiedeva chi si credesse di essere per non portare il grembiule: l'unica di tutto il piazzale. E dall'orribile zaino di tela nera, senza nessuna scritta, disegno o marca che facesse capire quali programmi guardava alla televisione, spuntò fuori la testolina di un gatto rosso dagli occhi di giada.
Alice, nonostante il nome, diffidava dei gatti: anche se erano sicuramente più belli dei cani, non erano affatto fedeli al loro padrone ed erano capaci di riempirti di graffi se non gradivano le tue carezze. Per Alice gli animali dovevano essere alla sua mercé e farsi fare tutto quello che voleva lei...
Vide la bambina guardare dritto negli occhi il gatto... Non aveva mai visto nulla di simile! Sembrava proprio che si parlassero tra di loro... Alice cominciò ad avere paura di quella ragazzina: e se fosse stata una strega malvagia in sembianze di seienne? Si girò di scatto verso Vittoria e le vide un'espressione atterrita molto simile a quella che sicuramente aveva lei in quel momento.
La madre di Alice, nel frattempo, stava commentando insieme alle altre madri quella strana famiglia. Le faceva una penosa tenerezza quella madre che ostentava a miglia di distanza l'insicurezza adolescenziale per il suo corpo di donna. Che dire dei suoi vestiti infantilmente alla maschiaccio? Ovviamente, lei aveva sempre odiato quella musa di Woody Allen che si divertiva a mettersi le bretelle e la cravatta e ad urlare per un ragno in camera da letto. Che fosse stata lei l'eroina giovanile di quella donna insicura ed esile? Il pensiero si sposta da quest'ultima alla bambina e, immediatamente, le sorse un dubbio sulla possibilità che quella ragazzina potesse fare del male ad Alice e alle altre bambine "normali".

(continua...) 

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