Krema

Non so se accada per una ragione che ogni volta che mi trovo all'estero (quasi sempre dottorando e quasi mai per piacere) riceva notizie che mi tolgono il baricentro delle mie certezze o, più semplicemente, del mio orientamento nel mondo. Questa volta si tratta della scomparsa di Freak Antoni, il frontman (anche se questo termine nel suo caso descrive la situazione per difetto, direi) del gruppo rock-demenziale Skiantos.
Bologna, fine anni Settanta. Mi immagino la situazione: lui in un tinello tipicamente emiliano, sua madre e sua nonna (di solito, nel panorama emiliano si tratta sempre di donne, mai di uomini) che scuotono la testa, ma che al tempo stesso gli offrono una fetta di salame al cioccolato o la torta di riso (mi sto chiedendo mentre scrivo, quanto questi termini possano apparire slang per gli altri... Ma non importa). Chissà, forse è stato proprio questo il terreno per l'origine di Sono un ribelle, mamma. Se non altro, mi piace pensarlo, una mattarellata in testa ed insieme un piatto di tortellini in brodo fumanti.

Fino ad allora stonare apposta non esisteva nel gergo musicale. La musica doveva essere melodica, tanto più se italiana. Il perbenismo democristiano non permetteva ai giovani di esprimere la propria rabbia, così come la propria voglia di dire cose intelligenti facendo gli stupidi. Il pubblico andava riverito come una divinità, di certo non era un animale da rabbonire, da insultare o dal quale farsi prendere ad ortaggi in faccia. 



Forse sarò leggermente campanilista, però senza gli Skiantos non esisterebbe certa cultura giovanile che si è protratta fino ad adesso nelle aule a gradoni felsinee. Con buona pace dei punkabbestia, i quali dovrebbero ringraziare gruppi come questo per la loro esistenza. Senza Skiantos, penso, probabilmente la ricezione dei gruppi rock stranieri non sarebbe la stessa, non avrebbe la stessa voracità giovanile. Mancava la tecnica (per lo meno agli inizi), sì. Ma c'era passione, pazzia, invasamento, il che è anche meglio. Senza, anche la tecnica non serve a nulla. Così come la capacità di ridere su stessi, di dire 'Ebbene sì, mamma, sono brutto, sporco, cattivo'. Lo spirito anarchico, del tutto sospettoso e guardingo verso ogni seriosità, perché è lì che si annida la quiete intellettuale, la banalità, il conformismo, il qualunquismo, ecc. L'idea era uscire dalle etichette, far lavorare la testa anche in un momento che dovrebbe essere, da un punto di vista crociano, di puro godimento estetico (e, proprio per questo, deve essere stravolto, ai limiti del carnevalesco e dell'eccesso).
Freak Antoni è stato un geniale guitto emiliano, e non è un caso se lo accomuno a figure come quella della maschera del Bufon fassano, maschera carnevalesca che ogni anno mette alla berlina i propri con-valligiani attraverso una volgarità che nasconde, invece, una fine antropologia e critica sociale. In anni più conservatori come (ahimé) questo periodo, il suo essere fuori dai riflettori era determinato dalla decisione etica di non essere servile con nessuno, men che meno i mass-media. Canzoni come questa, altrimenti, non sarebbero state scritte.

Una parte di me, quella di una liceale che si sentiva stretta nell'aula e nelle regole, nel dover soddisfare aspettative sociali altrui, ed il suo desiderio di provocare per sottrarsi all'ovvietà, se ne va con Freak.







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