Romanzo (forse incompiuto) a puntate - Parte IV (b)

(continuazione del Capitolo terzo)

Tutte le volte che vado a trovare Zia Zoe nascondo Groucho dentro il mio zainetto: mi sono intestardita di insegnarle il linguaggio dei gatti. Finora i miei progetti sono andati in fumo, perché persino Zia Zoe non riesce a capire cosa avvenga tra me e Groucho quando conversiamo. Vero è che lei non ci guarda con smarrimento o paura, come è capitato a qualche amico di mamma e papà che è piombato per caso in camera mia nel mezzo di una discussione accesa sui massimi sistemi, ma semplicemente con affetto, anche se questo affetto è accompagnato dal retropensiero sulla mia "peculiarità". Forse è questa piccola ombra che ricava un piccolo cerchio nei pensieri della zia a rabbuiare, talvolta, il nostro attaccamento reciproco, almeno per quanto mi riguarda. Mentre mi abbandono al movimento vorticoso dell'aria dato dall'altalena, mi torna in mente anche la difficile situazione dei miei genitori quando hanno capito che quel rigurgito rabbioso dentro di me mi ha resa e mi rende muta. Nonostante tutti gli esperimenti di zia Zoe, come vocalizzare qualche frase seguendo la melodia del suo pianoforte, esercizi respiratori di ogni tipo, l'iceberg d'odio cristallizzato nelle mie viscere non si è deciso a frantumarsi. Più continuo a vivere, più ho motivi per odiare gli uomini. Per esempio, un pomeriggio mi trovavo a zonzo in mezzo al castagneto poco distante da casa mia. All'improvviso, sento degli scoppi di spari e un gemito soffocato. Groucho diventa bruscamente circospetto e vigile, scomparendo dalla mia vista senza dirmi nulla. Una manciata di istanti dopo, incontro sul mio cammino due rubizzi cacciatori che trascinano per una zampa il cadavere di un piccolo di cinghiale. Mi rivolgono uno sguardo sogghignante, del tipo "abbiamo fatto caccia grossa stavolta", ma subito girano la testa dall'altra parte, come sorpresi dal mio sguardo di disgusto. Ecco una delle innumerevoli ragioni della mia misantropia: la prepotenza umana che cerca di sottomettere, forte delle sue armi, creature più deboli ma più nobili di lei. Il ciclo della natura ha stabilito che ogni essere vivente sia al contempo consumatore e cibo, ma l'uomo non si accontenta, è sempre affamato di qualcosa anche se ha già la pancia più che piena. Assorta in queste considerazioni, mentre Groucho aspetta che abbia finito il mio "ritiro spirituale" sotto una florida acacia, non mi accorgo della presenza di mia madre.
E' da quando mi ingannò con quel frappè che ha smesso di giocarmi scherzetti. Anche se il viso le si rabbuia sempre ogniqualvolta cerco di resistere ferocemente alle "cose fatte per il mio bene", preferisce dirmi direttamente le cose come stanno, affrontare il mio sguardo carico di rabbia. Mentire con una perosna alla quale si vuole molto bene deve essere una delle cose più strazianti, essendo la verità la via che porta all'espressione di sentimenti autentici. Con i capelli color del sole strizzati in una lunga treccia che ricorda una spiga di grano sbattuta qua e là dai capricci del vento, mamma, con movimenti lenti ed eleganti quasi quanto quelli di una danzatrice orientale, mi comunica: "Iris, scendi dall'altalena e mettiti il vestito che troverai sopra al baule in camera tua. Oggi è la prima seduta dalla psicoanalista, cerca di essere carina con lui perché ti vuole aiutare. OK? Su, vai, da brava.". Le mie mani si staccano dai manici dell'altalena (Groucho mi ha insegnato anche a mantenere un'impeccabile equilibrio in ogni circostanza, tra le altre cose) per rispondere, con gesti veloci e stizziti: "Un altro dottore? Ma cosa ho fatto di male?" "Nulla, Iris. E' solo che sei così sensibile. Il dottore ti aiuterà a difenderti dal mondo..." "Da quando in qua la sensibilità è una malattia?" "..." "Va bene, ora vengo. Avevo in mente di spaventare qualcuno con un bel rospaccio oggi.. La vittima sarà questo nuovo dottore, allora..." "No, Iris. Toglitelo dalla testa! Quante volte devo dirti di non vendicarti sugli altri per cose che non ti va di fare?" "Un fantastilione di volte. Però non capisco perché debba sempre stare male io e mai gli altri." "Piccina, nessuno vuole farti stare mal..." "Sì, sì, è per il mio bene, bla, bla, bla, bla! Risparmia fiato mamma. In cambio, però, mi comprate una lente di ingrandimento alla Sherlock Holmes. Voglio osservare i vermi in tutta la loro schifosità." "OK, ma solo per questa volta. Io e papà non vogliamo crescere una bambina viziata, è chiaro?!" "Bla, bla, bla!" "Rispondi con rispetto a tua madre!" "Sì mamma. Questa è l'ultima volta." "Bene. Ora scendi di lì, se no facciamo tardi all'appuntamento."
Un'altra giornata di svago andata in fumo. Quel codardo di Groucho se ne resta lì sotto all'ombra. "Sarebbe bello se ci fosse uno psicologo per gatti. Ti ficcherei sopra ad un lettino e ti lascerei lì per sempre. Così impareresti a farti gioco di me." "Iris, la tua è tutta invidia. Noi gatti non abbiamo bisogno di strizzacervelli perché non abbiamo paranoie e altre menate varie. Siamo dei veri guru in fatto di "sapersela godere"." "Già, già, come no. A quest'ora ti avrebbero già mascherato per quel cleptomane con manie di grandezza che sei in realtà." "Buon viaggio Iris." "Al diavolo!"
Odio essere nella condizione di colui che è costretto a pronunciare la parola touche. Strano che una bambina di cinque anni sappia già cosa sia uno psicoanalista, no? Va bene, per voi è strano anche il fatto che ragioni e mi esprima come un'adolescente rabbiosa ed un QI pericolosamente sopra alla media, una nerd tonda tonda. Mettetevelo bene in testa: nulla è quello che sembra, specialmente per ciò che riguarda me. Avere due genitori sociopatici aiuta in questo genere di cultura popolare, sapete?
Sia mamma che papà da ragazzini erano sopraffini nerd. E alla parola nerd si affianca anche una situazione emotiva precaria, se non instabile, letture esistenziali del calibro dell'opera omnia di Freud. Ovviamente, rivestita con una copertina da manoscritto medievale (ci manca solo il numero delle povere pecore immolate a questo "scopo"...) e in primo piano nella libreria dei miei genitori stracolma e senza neanche un minimo di criterio per potersi orientare. Per loro, ricalcare la falsariga (quanto adorano questo termine!) delle stereotipo nerd li fa sentire superiori alla media umana (ben scarsa, amici, ben scarsa). La cosa non li ha fatti minimamente riflettere su quanto possa essere ridicolo rinchiudersi dentro ad uno stereotipo sociale ed esserne, addirittura, soddisfatti, ma comunque... Torniamo a me.
So cosa voglia dire "andare in analisi". Più o meno, si intende. Va bene che sono anormale, ma c'è sempre un limite massimo all'immaginazione! I miei si sono messi in testa che sono stramba, perché non macino rabbia e sarcasmo a tutto spiano, perché odio in modo spropositato l'ipocrisia, perché parlo in modo telepatico con i gatti, perché sono muta ed adottata. Bell'elenchino, no? E gli strambi, si sa, vanno dagli psicoanalisti per divenire meno strambi e quindi raggiungere il binomio ardentemente auspicato dai membri attivi e consapevoli della società umana dell'"essere accettati, accettarsi."
Non parliamo, poi, di "noi adottati". Essere adottati fa volare subito in cima alla classifica delle menti contorte, alla top ten degli strambi più strambi degli strambi, in parole spicciole.
Mentre il mio cervello si prodiga in questi voli pindarici, le mie mani si sono impadronite del vestitino bianco con fiori azzurri ricamati sul fondo della gonna (bleurgh! Essere bambini significa anche dover accettare l'imposizione di abiti scelti dalla mente allungata con acqua degli adulti. Mai che si pensi alla dignità del proprio bambino) e quelle di mia madre hanno fatto ordine nella mia chioma apponendovi un bel nastro verde smeraldo (altro bleurgh!).
Dopo pochi istanti di frizione-freno-cambio di marcia-freccia a destra-freccia a sinistra, mi ritrovo davanti ad una porta di legno massiccio, con tanto di ascensore con gabbia a rete bianca. Insomma, quel che solitamente si associa all'ingresso di uno studio psicoanalitico mitteleuropeo.

(continua...)

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