Romanzo (forse incompiuto) a puntate - Parte IV (a)

Capitolo terzo

L'avvio del rapporto terapico tra Zoe ed Iris fu il preludio per l'inizio della socializzazione ulteriore della seconda con il mondo esterno, un globo che assumeva i volti di altri bambini, compagni di classe della bambina, ormai classificata come muta. Gli sforzi di Zoe, nonostante tutta la sua galvanizzazione scientifica, furono, purtroppo per le speranze di Elsa e di Carlo, più che vani. Il linguaggio dei segni prese il posto del linguaggio comune per rifiorire sotto gli influssi particolari dati dalla capacità di Iris di comunicare con i gatti, di scrutare con ferocia nelle anime degli altri e di metterle a nudo con lo sguardo. Certo, ci sono sempre stati casi di muti, sordi o sordo-muti con un'incredibile espressività nella comunicazione tramite gestualità codificata, ma Iris aveva quel non plus ultra che aveva fatto sì che Zoe divenisse una seconda confidente; naturalmente, dopo il miagolante Groucho. Zoe era certa che nonostante la sua sonora sconfitta nel portare a termine il compita datole dalla sua cara amica d'infanzia, Iris avesse qualcosa di straordinario, che prima o poi sarebbe uscito alla luce perfettamente codificabile e che lei avesse tutto il diritto di possederne "l'esclusiva". A quest'acredine scientifica di Zoe, parte permanente del suo carattere, si mescolò una profonda comprensione delle emozioni di Iris, un autentico desiderio di voler condividere parte dell'esistenza con lei con con-passione, ovvero con un sincero trasporto affettivo, un'autenticità che ammorbidì le difese di Iris e che le rese prima piacevoli, poi indispensabili, le visite alla "zia Zoe".
Il linguaggio dei segni era stato piuttosto semplice da imparare per una mente come quella di Iris, la quale decise di insegnarlo anche a Zoe, per quanto riuscissero già a comunicare perfettamente con la potenza dei loro sguardi. Per Elsa e Carlo, anche se avrebbero desiderato che la figlia eccellesse nell'arte oratoria classica, accettarono volentieri la condizione di dover apprendere anche loro questo strano linguaggio. Era come se l'opacità ed imperscrutabilità della mente e del cuore della loro bambina fossero evaporate e l'idea di poter entrare dentro i suoi pensieri era per loro una grande conquista.
Anche se entrambi vedevano benevolmente il rapporto speciale che si era creato tra "zia Zoe" (scusate la cacofonia), la loro apprensione genitoriale non era affatto sazia. L'"estrema sensibilità" di Iris, il suo "vissuto abbandonico" necessitavano di un sostegno psicologico specialistico, ed ecco Iris dover rinunciare ad un'ora delle sue scorribande in mezzo ai boschi con Groucho per immobilizzarsi in un lettino psicoanalitico.

Stamattina non ne ho voluto sapere della colazione. Al diavolo tutte le fandonie che possono raccogliersi sotto al monito "Devi crescere!", oppure a quello di "Lo facciamo per il tuo bene!". Che se la bevano papà e mamma quella cioccolata acquosa e quei biscotti prodotti dalla fantasia di un creativo frustrato che ha dovuto intraprendere la strada del "fornaio industriale" per non finire sul lastrico e che, non pago dell'assoluta banalità gustativa delle sue "creazioni", ha deciso di aggravare la sua stabilità mentale apponendo nomi ridicoli come "Cuccioletti", "Poesiucole", "Piccole delizie", avvolgendole in un packaging istoriato da leggende metropolitane sulle loro "origini", buone solo per cuori melensi quasi quanto la pastella dei suddetti biscotti. Mi rifiuto di ingoiarne anche solo una briciola. No, cari genitori, quello che mi fa crescere non sono questi biscotti abominevoli, ma una bella ventata d'aria fresca, il riverbero della mia immagine sul laghetto a pochi passi da qui, i doni vitalizi concessimi dalla natura mentre passeggio tra il fogliame insieme a Groucho. E' gara persa se mia madre tenta di capire le ragioni intrinseche del mio stomaco, dato che non ce ne sono affatto. Può contrarsi e non permettere che neppure qualcosa di commestibile delle fattezze di un pulviscolo di polvere vi entri dentro, oppure espandersi in una fame vorace ed infinita. Guai a metterci dei paletti: quando il mio stomaco ha fame, ha fame. Punto. Fine della storia.
E mentre ripeto queste parole al ritmo di una canzone rap che ho sentito per caso quando ieri ho acceso in gran segreto lo stereo di papà, afferro il mio cappottino giallo e faccio un cenno che a Groucho che, come al solito, se ne sta in panciolle sul mio letto, con una finta espressione appisolata sul grugno e un impercettibile movimento dell'orecchio sinistro, caso mai avesse dovuto seguire i capricci di una bambina di poco più di cinque anni, affetta da cinismo e sarcasmo congeniti, come in questo caso.
E' da un po' di tempo che quel gattaccio mi ha insegnato a servirmi dell'edera della facciata della casa dove si trova la finestra della mia camera per fare su e giù senza essere vista uscire. Dà un certo senso di potere il "puf" immaginario che segue la domanda di mamma e papà: "Iris, dove sei?". Ed è "puf!" anche stavolta. In due o tre balzi raggiungo Groucho che ha voluto ottimizzare i tempi facendo una breve ed accurata pedicure ai suoi artigli. Oggi gli impongo di accompagnarmi prima all'altalena rudimentale che ho ricavato da una vecchia carrucola sballonzolante dall'ossatura vegetale di quella che fu una serra di certi vicini di proprietà, poi ad una breve puntata allo stagno. Mi sono sempre chiesta come mai un'oasi così paradisiaca, piena di nascondigli e vecchie storie raccontate dalla linfa delle auguste querce non contenga altri bambini all'infuori di me.
Sia chiaro, di bambini scortati dai loro genitori ne ho visti passare da queste parti. La possibilità di imbattermi in miei simili cade sempre con la venuta delle castagne ad Ottobre e delle more ad Agosto. Ma mai un bambino con un'espressione compiaciuta di essere in mezzo al verde. Sia loro che i genitori hanno sempre un passo circospetto con in mano un cestino di vimini e un bastone da passeggio. "Attenzione alle vipere!" ,"Attenzione ai cinghiali!", "Attenzione alle ortiche!", "Attenzione ai rovi!", "Attenzione alle zecche!". Gita fuori città, uguale: elenco continuo e ininterrotto di cautele, di attenzione, di pericoli. Sguardi schifati dalle suole infangate o dalla tela dei jeans macchiata d'erba. Non ho mai capito perché vestirsi bene per passeggiare nel bosco per poi concludere la serata a lamentarsi...! Per farla breve, non ho mai visto un bambino che girava da solo nei boschi, che si inculcava nelle cavità degli alberi per fare amicizia con qualche gufo, tasso, bruco o formica. Non ho mai potuto specchiarmi in una faccia che trasmettesse emozioni simili alle mie. Poco male... Se non altro, posso considerarmi la padrona incontrastata di questi boschi!
Groucho ed io iniziamo a sgattaiolare via, senza far rimbombare i nostri passi. L'altalena è per me un momento di raccoglimento, è lì che schermo tutti i pensieri, persino a Groucho o a zia Zoe... Adesso che ci penso, devo andarla a trovare tra pochi giorni, dato che mi deve insegnare tutti i trucchi del suo microscopio. Tutte le volte che mi racconta della sua infanzia, dei pomeriggi passati a rincorrere le farfalle con il retino per poi fare degli schizzi su un quaderno nero ed ordinato, collocare il "ritratto" della farfalla alla sua specie d'appartenenza e, alla fine di tutto, liberarla dal retino, scoprivo dei punti in comune con lei. Entrambe siamo affascinate dalla natura, sebbene lei voglia catalogarla ed osservarne ogni minima particella elementare, mentre io desidero scoprire tutti i linguaggi dell'universo per entrare in sintonia con ogni elemento vivente. A lei piacciono le bacheche mentali, a me le storie, per sintetizzare.

(continua)

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