Francesco Piccolo "Il desiderio di essere come tutti"

Tutto ha inizio con una partita tra la Germania Ovest e la Germania Est. La simpatia per quelle tute che avrebbe potuto cucire sua madre per lui spinge Piccolo a 'passare dall'altra parte', a dichiararsi 'comunista' ad un padre democristiano convinto e per il quale nutre una devozione reverenziale. L'idea di confine è ben radicata nell'ultimo lavoro di Piccolo, chi sta da una parte, chi dall'altra. Chi si lascia andare alla superficialità, al farsi scivolare le cose addosso per poi non sentire male, chi invece assume una visione rigida e severa della realtà, tale per cui bisogna dichiararsi colpevoli o, corrispettivamente, meritevoli. L'Italia viene descritta come spaccata in due: da una parte chi si ritiene superiore, in quanto vive e persegue i propri ideali, e i 'tutti', quelli che, per l'appunto, si mimetizzano nell'accadere delle cose. Piccolo ricorre a due concetti weberiani per chiarire meglio il concetto: l'etica dei principi, secondo cui l'agire secondo i propri principi è sufficiente ed indipendente dalle conseguenze, e l'etica della responsabilità, secondo cui le conseguenze, invece, devono essere prese in considerazione. Chi è puro o, almeno, insegue l'obiettivo della purezza e chi, invece, preferisce sporcarsi, mettersi in discussione.
Queste due bipolarità vengono identificate nella sinistra italiana, da una parte, e nel resto d'Italia che non si può definire tale (su questo punto Piccolo è, volutamente, vago). La sinistra italiana, con ideale esistenzialista ed umano Berlinguer, avrebbe cercato, secondo Piccolo, di avvicinarsi all'ideale di purezza, prima agendo nel mondo, poi, con l'uccisione di Moro e l'avvento di Craxi, di porsi al di sopra dei fatti per poter dichiararsi non complici di quello che succede nel paese. L'etica o, se vogliamo dire, l'attrazione della sinistra per la perdita farebbe parte di questa strategia: lasciare il campo agli altri per poter dire 'noi non c'entriamo'. Sentirsi parte di una minoranza ha come effetto una politica esclusivista ed, al tempo stesso, un malessere di fondo dato dal fatto di non riuscire ad identificarsi con i 'tutti'. Il fenomeno del berlusconismo sarebbe l'esempio principe di tale strategia di auto-esclusione della sinistra dalla fattualità italiana.
L'origine del conformismo sta nella dimensione emotiva in cui è entrata la politica: dal primo giorno del suo mandato, tutta la sinistra si è agitata per la questione della mancanza di credibilità; escludendo l'approccio razionale, ha eliminato così la critica dei fatti, la logica, l'analisi. [...] C'è una parte di Italia, la quasi totalità delle persone che avrebbero dovuto combatterlo sul piano politico e con una proposta alternativa di efficacia maggiore, che ha considerato Berlusconi non il capo di una coalizione opposta alla propria e poi il presidente del Consiglio di questo Paese; ma ha passato anni e anni a parlare di lui come di un essere spregevole, un pagliaccio, un corrotto, perfino un uomo basso (un nano), un puttaniere. Si è persa un'enorme quantità di tempo e di energie a creare formule sarcastiche per il nemico e quelli che aveva intorno. In fondo, la sequela di errori che sono stati commessi in lunghi anni di dominio di Berlusconi deriva da questa doppia e insostenibile identità che gli si è attribuita: il mostro e il pagliaccio. Insieme. Erano tutti convinti che fossero due definizioni esponenziali, e nessuno ha immaginato che invece avrebbe potuto essere due pesi che si annullavano.
Quindi, né l'uno né l'altro. Nessuno lo ha mai considerato un vero mostro, perché il disprezzo e la derisione ne abbassavano i connotati, neutralizzavano il senso della tragedia, lavoravano per renderlo poco credibile. E non si ha timore vero di chi si considera poco credibile. Se non si ha timore vero dell'avversario politico, non si mettono in atto delle strategie concrete, e alternative alla sua, per combatterlo.
Con l'affacciarsi del berlusconismo si ha anche un progressivo mescolarsi del pubblico con il privato, in ciò che Piccolo identifica nel mito di Diana ed Antigone: c'è una Diana senza veli che non vuole essere riconosciuta nella sua fragilità ed un Antigone che si rende colpevole della diffusione di quell'immagine che Diana vorrebbe preservare soltanto per sé. Berlusconi è, in questo senso, un maestro di tale mito: davanti alla fontana di Diana ed Antigone nella Reggia di Caserta, in un'occasione che dovrebbe essere pubblica, allude con gli altri capi di Stato all'intimità del coito notturno. Berlusconi diviene l'Antigone di Piccolo, Diana della situazione, essendo nato e vissuto per tutta la giovinezza a Caserta. Proprio in quel luogo si è potuto imprimere nella memoria di Piccolo un ricordo infantile, la magia data dalla Reggia in un sera con altri amichetti liberi per un momento dal giogo genitoriale, per questo sente la battuta volgare di Berlusconi un attacco personale. 
L'intero libro, d'altronde, è un intercalare di vicende personali con quelle pubbliche: Piccolo si pone in una posizione intermedia, a metà strada tra quella del testimone vero e proprio e coloro che non hanno visto nulla. L'artificio letterario è interessante ma, in linea con la poetica di Piccolo (ovvero, con l'era Berlusconi il privato prevale ormai sul pubblico con violenza, quindi anche l'umanità e personalità di Piccolo deve risaltare maggiormente), alla lunga stanca.
Un libro per molti aspetti interessante, anche se "il desiderio di essere come tutti" contiene in sé, per me, il rischio implicito di capitolare davanti al qualunquismo. Perché Piccolo è così severo e spietato con sé stesso quando si tratta di parlare di un articolo satirico che aveva fatto su un raduno invernale di AN, per poi non riservare nessun tipo di critica ad un partito, il PD, che avrebbe diversi punti deboli e cancerogeni per la sinistra italiana? Capisco che, forse, la critica non c'è perché il PD è la materializzazione di quel compromesso storico tentato da Moro, di quell'arrendersi all'impurità, all'etica della responsabilità che Piccolo desidererebbe fosse l'obiettivo della sinistra tutta in modo che possa intervenire in Italia e non porsi nei confronti di essa in modo astratto, però mi pare anche una cecità, dopo pagine e pagine di autocritica, non includere anche il PD nell'osservazione al microscopio.
Io, e forse mi sbaglierò in questo, do' ragione ai miei nonni e alla loro generazione (di chi ha fatto la resistenza, si intende. Una parola, resistere/resistenza, guardata con sospetto da Piccolo in quanto parte della strategia esclusivista della sinistra), per cui schierarsi voleva dire lottare per la libertà, intesa nel senso più largo del termine, anche al costo di sacrificare la propria vita per essa. Il che non vuol dire elevarsi al di sopra degli 'altri', ma ritenere che c'è la semplicità della giustizia e che bisognerebbe appellarsi ad essa, non tanto a livello di appartenenza politica, quanto di eticità umana. Qualcosa che è molto umano, molto intimo e personale, se vogliamo, ma che ha e che deve avere delle conseguenze pubbliche. Non si può tacere che una parte dell'Italia e con essa i suoi eredi contemporanei non ha cercato la giustizia, ma solo il proprio tornaconto personale, macchiandosi del sangue di vite innocenti. E non penso ci sia nulla di male a dichiarare di non avere nulla da spartire con questa parte d'Italia, se questa definizione si accompagna ad un desiderio efficace di cambiamento di ciò che non ci piace del mondo.
 

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