Romanzo (forse incompiuto) a puntate - Parte III (c)

(continuazione del secondo capitolo)

La sua finora era stata una vita da nubile, alla perenne ricerca di illuminazioni scientifiche, con l'agenda piena di conferenze alle quali partecipare non solo in veste da uditrice. Nella sua intelligenza brillante non vi era mai stato posto per altro che non fosse l'induzione, la deduzione e (naturalmente) la formulazione di ipotesi. Il mondo reale le era decifrabile quasi quanto la sua incapacità di viverci dentro appercependolo soltanto. Non si poteva neanche dire che avesse vissuto un'adolescenza: i giochi "di pura curiosità", infantili si erano tramutati in "missione", tutto il resto passava dietro a lei come lieve ombra. Come in una nota canzone di un cantautore del quale non ricordava mai il nome, per lei era assolutamente naturale capire i legami che si instauravano tra gli elettroni dell'ossigeno che attraggono a sé due atomi di idrogeno per dare adito ad una molecola d'acqua, ma le era del tutto incomprensibile il motivo per cui donne e uomini, giovani o vecchi che siano, si innamorino tra loro o all'interno del loro stesso genere. Che legge sta dietro ad una lacrima versata per una telefonata che non arriva, per uno sguardo non corrisposto? Qual'è l'equazione fisica che stabilisce che donne sane smettono di mangiare e dormire, si vedono in modo distorto, o si imbellettano fino a trasfigurare i loro lineamenti naturali? Così si domandava tra sé quando scrutava i volti delle sue amiche.
Il suo corpo trasformato l'aveva accettato come una conseguenza naturale della crescita e della riproduzione della specie, alla quale augurava prosperità e geni interessanti da sezionare, ma, per quanto riguardava lei, non aveva nessun tipo di interesse a contribuirvi in futuro. Il ciclo lo vedeva sì come una cosa dolorosa e seccante, ma era esso stesso la prova della straordinaria efficienza di quei contenitori di vita, i corpi. E mentre le sue amiche si dannavano l'anima nel vedersi troppo poco o troppo prosperose, a farsi venire venire fobie che si sarebbero poi trascinate nell'età adulta, lei proseguiva con le sue ricerche in biblioteca, lasciando alla madre il compito di decidere cosa indossare. In lei la percezione dei suoi coetanei era restata tale, ovvero persone con le quali arrampicarsi sugli alberi o passare serate divertenti commentando con spocchiosa ironia film di dubbia qualità artistica.
Non riusciva a capire perché alcuni di loro non continuassero a rapportarsi con lei in tal modo, ma piuttosto la aspettassero sotto casa, le dedicassero cassette con brani dei più melensi, e quindi inascoltabili... Che, insomma, perdessero la loro dignità come se per un istante la loro mente fosse obnubilata per una causa alla quale non sapeva dare una spiegazione logica. Vi erano state, in seguito, un paio di circostanze in cui quel fenomeno strampalato aveva infettato suoi colleghi di lavoro con i quali amava passare il tempo al bar con una buona pinta di birra scura e le freccette del tiro a segno. La cosa la sconvolse tanto più che i suoi colleghi erano stimabili scienziati: come potevano i loro preziosi cervelli essere disposti a farsi prendere per il naso così?
Nonostante la sua completa incapacità di comprensione dell'amore, Zoe era affascinata dalla psicoanalisi e dalla psicologia... A pensarci bene, più che un paradosso, la sua passione per la psicologia era il perfetto comprimario all'illogicità che vedeva nei comportamenti altrui. Finalmente una scienza che metteva ordine nel caos di quelle menti lobotomizzate! Tasselli che si incastravano perfettamente, ruote motrici che riprendevano le loro danze tra gli ingranaggi. Ora Zoe poteva avere in mano le chiavi di volta per apporre una rassicurante etichetta sopra a rossori, lacrime, ammiccamenti, tremori, fissarli per sempre in un mite abbraccio di formaldeide e riporli nello scaffale del suo cervello dedicato ai rebus insoluti. Se non che, per sua somma irritazione, non sempre a certi comportamenti corrispondeva una certa etichetta e il suo senso di smarrimento da adolescente tornava a galla.
Il "caso" di Iris le era subito balzato alle orecchie mentre ascoltava Elsa con sguardo focalizzato quanto una lente di microscopio, per la sua singolarità. Subito gli occhi presero a brillarle come un silenzioso eureka di fronte ad una promettente scoperta. Stranamente, il fatto che Iris fosse incatalogabile non la irritava, perché, in fin dei conti, era semplicemente bisognosa di una nuova categoria che le desse un senso, non come i cascamorti di sua conoscenza che parlavano tutti la stessa identica solfa. La possibilità di poterla avere vinta sull'amore decifrando un caso così complesso come quello di Iris era un'occasione troppo ghiotta per Zoe da lasciarsela sfuggire. Tanto era divenuto cruciale il "problema" di Zoe per la sua stessa esistenza che Zoe decise di non farsi retribuire: quel che Elsa le stava proponendo era estendere la sua fama e la sua bravura di scienziata, quindi avrebbe dovuto essere lei a sdebitarsi in qualche modo.
Chiese ad Elsa se le fosse possibile ricevere la bambina nel suo studio la mattina seguente al loro colloquio. Vedere Zoe così determinata ed entusiasta costituì un considerevole sollievo per Elsa, il cui viso ormai cominciava a disvelare la sottile ed elegante ragnatela che l'avrebbe decorato in un futuro tra il non troppo lontano e il remoto. Forse Elsa avrebbe potuto nuovamente abbandonarsi all'abbraccio che Carlo le riservava sempre per farla addormentare più serenamente: la sua segreta camicia di forza, o la sua corazza... Chi può mai definire quel circolo di aspettative che stanno dietro ad un abbraccio? Certo è che Elsa aveva davvero bisogno di regredire un po', la sua fragilità non poteva essere nascosta troppo a lungo dai suoi doveri di madre.
Vedere per la prima volta Iris era sempre un turbinio di sensazioni discordanti, un'esperienza che tagliava in due le opinioni umane. Mentre per alcuni il colore indefinito dei capelli e degli occhi, quel visetto serio e dallo sguardo adulto facevano sprofondare in un risentito disagio, a Zoe affascinavano terribilmente. "Un esemplare più unico che raro" aveva subito pensato quando quella bimbetta aveva fatto capolino dalla porta con sua madre. Come prima seduta, Zoe aveva pensato di dare carta bianca alla piccola, offrirle il maggior numero di stimolazioni (=giocattoli) da offrirle e vedere cosa era in grado di fare. Voleva guidarla verso l'uso della parola senza che lei se ne rendesse conto. Una bambina così intelligente, una volta subodorato il reale scopo, sarebbe stata capace di sabotarle i piani.
Zoe dovette ricredersi, avrebbe dovuto rimboccarsi ulteriormente le mani: Iris, dopo aver staccato un pezzo di pongo color lampone e avergli dato una forma più o meno sferica, la squadrò con una sguardo colmo di malcelato disprezzo per poi inabissarsi sotto al grande e morbido tappeto persiano. Lasciando aperta una piccola grotta di oscurità e d'aria ventilata, gli occhi della bambina cominciarono un duello senza esclusione di colpi con Zoe. Così ebbe inizio la loro lunga frequentazione.

(continua...)

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