Romanzo (forse incompiuto) a puntate - Parte III (b)

(continuazione del secondo capitolo)

Il normale rapporto gatti-umani si incrinò quando Groucho rivide il faccino di Iris. Nella sua memoria quasi computerizzata si ricordava che in quella coperta, in quella giornata di nebbia e gelo, si era instaurata una telepatia quasi magnetica con quella bambina. I suoi istinti animaleschi ancora in erba gli dicevano che quella neonata aveva un qualcosa che la rendeva completamente diversa dagli altri della sua specie, che lui snobbava denominandola "scimmie evolute". Lui e quella notte desolata si erano parlati. In senso mentale, telepatico. Entrambi avevano concordato sul fatto che il futuro sia un qualcosa che incombe, un qualcosa di fronte al quale "bisogna essere preparati", anche se non la si potrà mai conoscere... Altrimenti... Altrimenti se ne verrà sopraffatti e spazzati via in un nanosecondo. Sarà stata la paura rispetto al fatto di essere stati "ingabbiati" in quella coperta contro la loro volontà, sarà stata la precarietà della loro condizione dentro a quella stessa coperta, ma era anche evidente a loro stessi che c'era qualcosa di più profondo sotto che li faceva riflettere sui massimi sistemi invece che sul qui ed ora così terrorizzante.
Quella conversazione lasciata a metà dall'arrivo di Elsa e Carlo riprese, come se la distanza temporale non vi fosse mai stata, appena lo sguardo di Iris incrociò quello di Groucho. Non c'era bisogno delle presentazioni, la memoria, quel congegno strano e difettoso, aveva preservato quegli istanti preziosi. Ciò spiegò poi il fatto che Groucho non seppe mai staccarsi da Iris e viceversa: dove c'era l'uno, c'era anche l'altra.
Le reminiscenze letterarie dei genitori di Iris facevano riportare le loro menti alle situazioni narrative di opere per bambine come Il libro della giungla, basate su storie vere di "piccoli selvaggi" allevati da animali. All'inizio questa reminiscenza era leggera e veniva accolta dai due con divertito piacere: era pur sempre un bello spettacolo per animi romantici come i loro osservare l'affetto platonico tra due coetanei di specie diverse. Poi il piacere si tramutò in qualcos'altro... Sì, perché mano a mano che Iris cresceva, cominciava ad aumentare di dimensioni e a divenire sempre più indipendente nei movimenti, quella bambina non parlava. Non emetteva neanche mugugni o frasi sconnesse che, per la sua età, avevano un senso "evolutivo".
Quei "mamma" e "papà" che tanto avrebbero desiderato udire le orecchie di Elsa e Carlo venivano espressi soltanto nei grandi occhi, anch'essi, come i capelli, dal colore imprecisato, di Iris. Mai si era vista, secondo la loro esperienza, una bambina che parlasse tanto "con gli occhi", esattamente come gli animali. In effetti, se ci si pensa un attimo, ciò che distingue l'uomo dagli animali è proprio l'uso della parola.
Unendo questo dato preoccupante a quello dell'affetto platonico fra Iris e Groucho ecco stagliarsi nei sogni ad occhi aperti di Elsa e Carlo il timore che anche la loro bambina sarebbe stata come "quei piccoli selvaggi", segnata per sempre dalla mancanza di una vita "sociale", nel senso letterale del termine, ovvero dentro al consorzio umano.
Gli unici suoni emessi dalla epiglottide di Iris erano tutti diretti a Groucho e, cosa raccapricciante per la giovane coppia, rassomiglianti in tutto e per tutto a quelli di Groucho. Non che questo comportasse che, in presenza di altri esseri umani, Iris cominciasse a fare le fusa e a graffiare la pelle agli importuni. Niente di tutto questo. Iris si comportava (verbo usato spesso da Elsa e Carlo per negare a loro stessi che Iris era) da gatta solo quando interagiva con Groucho... E non sortiva quel tipico effetto che fanno i bambini agli animali quando li emulano, al contrario sembrava proprio che anche Groucho la considerasse come una gatta, una gattina, per essere più precisi.
E la consideravano tale anche gli altri gatti nei quali capitava di imbattersi. Non così era per gli altri animali. Con loro Iris si comportava esattamente come quando si trovava in un contesto di soli umani... Anche se sarebbe più corretto usare la forma negativa del verbo comportarsi. Già, perché tutti i discorsi fioriti ed eterni che ricamava con i gatti, sembravano ritirarsi nel suo sguardo. Uno sguardo che non sapeva mentire e che, per questo, metteva così a disagio. In particolare, era così straziante vedervi il riflesso di un astio sordo o di un dolore inconsolabile. Immaginatevi i sensi di colpa di chi aveva suscitato quel tipo di sguardo...
Per il resto, quando Iris veniva privata, o per una ragione, o per l'altra, della compagnia di Groucho, i giochi solitari ed inventivi della bambina bastavano a non farla sentire sola. Fortunatamente, questi segnali di "eccessiva indipendenza" erano saltati fuori dopo che era finito il periodo di supervisione dell'assistente sociale, altrimenti, sicuramente, Elsa e Carlo avrebbero dovuto affrontare un altro grattacapo. Elsa, non digiuna del modus ragionandi degli psichiatri e psicologi, temeva che venisse appioppata a sua figlia la diagnosi di "autismo". A parte il tipo di comunicazione adottato da Iris, non vi era nulla in lei che le facesse pensare a disturbi psicologici invalidanti o a ritardi mentali: non solo si faceva toccare ed esprimeva a piene mani il suo attaccamento ed affetto per i genitori e le altre figure importanti nella vita di quest'ultima dimostrava un'intelligenza superiore alla media, estremamente attiva e reattiva di fronte agli stimoli esterni, cosa che, peraltro, era già stata largamente dimostrata dalla valanga di esami ai quali era stata sottoposta nel periodo di degenza in ospedale. Vero è che quegli stessi esami avevano rivelato che il cervello di Iris, seppur perfettamente funzionante, lavorava secondo ingranaggi totalmente diversi da quelli normalmente impiegati da un essere umano. Questo, forse, spiegava il mutismo di Iris. Nonostante queste spiegazioni razionali, Elsa e Carlo erano terrorizzati dal fatto che non erano mai esistiti casi clinici simili a quelli di Iris. La loro bambina, quella stessa che stendeva dolcemente la sua piccola mano sui loro capelli, che aspirava in un esile soffio l'odore della loro pelle, era un "caso eccezionale", al si fuori di qualsiasi spiegazione o teoria scientifica. Il passo dall'eccezionalità alla mostruosità è molto breve nel pensiero comune e le libere associazioni di Carlo ed Elsa non facevano eccezione, nonostante cultura e lauree.
Queste angosce genitoriali subirono una crescita esponenziale, come si accennava prima, man mano che Iris cresceva, fino a tramutarsi in panico quando la bambina compì i tre anni d'età senza un minimo cambiamento nel suo modello di comunicazione. La cosa era anche vissuta con vergogna, dato che avevano sacrificato tutta la loro vita nell'utilizzo il più raffinato possibile della parola umana socialmente ascrivibile come tale. Lo stesso spauracchio che un figlio incurabile genera in una coppia di famosi medici (decidete voi la combinazione delle varie specializzazioni).
Ormai Elsa e Carlo non avevano altra scelta che spedire il più velocemente possibile Iris da un logopedista, magari con una specializzazione in psicologia.
La scelta cadde su una vecchia amica d'infanzia di Elsa con la quale aveva mantenuto rapporti di cortese conoscenza, laddove l'affetto infantile veniva sostituito da saluti accompagnate da sorrisi e da favori vicendevoli ogni tanto, a seconda della gravità del "caso" capitato ad una delle due.
L'ultima volta, Zoe, così si chiamava la riccia logopedista, si era rivolta a lei perché potesse correggerle il suo ultimo saggio sulle frontiere ancora inesplorate della voce umana. Aveva spedito le bozze ad una nota casa editrice allo scopo di divulgare le sue ultime scoperte scientifiche anche ad una larga opinione pubblica, ma i suoi tecnicismi erano stati bocciati. Grazie all'abilità di Elsa di destreggiarsi tra più registri espressivi, il volume di Zoe trovò i suoi natali tra la carta stampata.
Elsa amava già da piccola divertirsi a scrivere delle storie divertenti o fantasiose e i premi letterari conferitile dalla biblioteca della loro scuola elementare, una delle più all'avanguardia per i metodi educativi, si erano impressi nella memoria di Zoe, la quale, al contrario, durante l'infanzia amava inventarsi gli esperimenti più strampalati spinta da una febbricitante curiosità per il mondo fenomenico.

(continua...)

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