Romanzo (forse incompiuto) a puntate- I

Queste parole fanno parte di un periodo particolare e particolarmente complicato della mia vita. Esse lo riflettono in modo, direi, maniacale. Con la stessa protervia e prepotenza con cui si sono imposte all'inizio, queste idee romanzate si sono poi estinte in un insieme di fuliggine. Chissà che riproponendole a puntate nel blog non nascano poi fiammelle, e da cosanascecosa. Accetto la sfida di quest'esperimento. Ma bando alle ciance e via alle danze.

Rejection (2012)

Premessa

Un fascio di luce si fa largo tra la schiena, diventa fessura tra le vertebre che disegnano un'elegante fiera di costituzione esile.
Ma ecco un errore, una macchia che rabbuia questi giochi luminosi. Iris nacque con quel problema. Di essere indefinibile in un mondo inscatolato da categorie. Di qui l'insensatezza di descrivere il suo fisico come esile. èsile * esìle [vc. dotta, lat. exile (m), di etim. incerta, con accento retratto per analogia con altri aggettivi sdruccioli in -ile] agg. 1 Sottile, tenue: mughetto, fiore piccino/ calice di enorme candore/sullo stelo e. (UNGARETTI) | Magro, gracile: un bambino e. 2 (fig.) Debole, di scarsa efficacia o validità: una voce e. esili argomenti || esilménte, avv.

Quanto le parole potessero essere foriere di ambiguità ed incomprensioni Iris lo sapeva bene, purtroppo.
Effettivamente, in quella mattina nebbiosa e con un presagio di forti nevicate, Iris poteva riassumere tutte le accezioni della parola esile, riflettendo reazioni alquanto contrastanti in quella giovane coppia di camminatori.

Elsa aveva trangugiato in tutta fretta la colazione. La lite la sera prima con Carlo era stata concitata e al contempo parecchio confusa. Si erano sposati da pochi mesi, ancora vivide le immagini di quelle due firme in Comune, di quella promessa "in salute e in malattia". Lavorare entrambi come giornalisti, giovani promesse fresche di lauree in lettere e scienze della comunicazione, metteteci anche la stessa insana passione per il collezionismo di dizionari di qualsiasi lingua e foggia ed eccoci catapultati, con qualche stordimento, in quella cerimonia.
Elsa aveva ereditato dalla famiglia un forte desiderio di "calorosità": per accompagnare l'impegno preso con Carlo, con quegli occhi da folto di bosco, era necessario avere dei testimoni, degli agiografi, se vogliamo. Di qui un arredo da "Signora Felicita", il desiderio altalenante che contornassero quel giardino, le frequenti visite degli amici, e quel presentimento repentino di maternità.
Carlo ne era appena uscito, anzi, per precisarne l'onerosità, era sopravvissuto alla sua yiddishe mame. Il fatto che le sue origini ebraiche non avessero nulla a che fare con gli shtetl e con memorie di Odessa per lui non costituiva un problema. Si compiaceva di essersi fabbricato un fascino intellettuale, "intriso di giudaismo", alla faccia degli stereotipi antisemiti, che pareva riscuotere un discreto successo tra giovani universitarie graziose quanto nevrotiche. Elsa era il pesce perfetto nella sua rete. Al posto di queste preoccupazioni "da signorine", in lui si era sviluppata l'ossessione della riscoperta delle "sane radici giudaiche", volendo ripercorrere la via già tracciata da un certo Franz Kafka e di tanti altri illustri "fratelli di kippah". 
Ai ninnoli di lei si contrapponevano i progetti mirabolanti di lui verso l'amato "Est".
Il lettore avrà già inteso come questo contrappunto stonatissimo costituì il motivo della lite serale.

Non digiuni da un morettismo giovanile, entrambi avevano emulato l'ombroso regista romano nello sfogarsi o nell'appianare le contese con il movimento. Niente di meglio che un giro di corsa nel bosco, con quel tanto di freddo che avrebbe calmato ulcere e bollenti spiriti serali.
Immersi così nei loro monologhi interiori su chi avrebbe avuto il dovere di parlare per primo per scusarsi, trovarsi di fronte ad un fagotto sul ciglio della strada che portava ad un secolare castagneto non era esattamente nei piani coniugali.
Elsa si arrestò in preda alla confusione e allo smarrimento. Boccheggiando nuvole di vapore si chinò verso quel piccolo ammasso di lana cotta. Gli occhi strabuzzarono: un piccolo di essere umano avvinghiato ad un cucciolo di gatto. L'improbabile coppia era stretta l'uno all'altra, quasi per aumentare un pochino il calore corporeo, i musetti (non ditemi che un bambino appena nato non sia la dimostrazione più ovvia della nostra animalità...!) rattrappiti da un sonno profondo.
Elsa scattò di scatto lo sguardo. "Ecco, sono fottuto." fu il pensiero di Carlo.

Il racconto del ritrovamento di Iris e di Groucho Marx, il suo fulvo e felide compare, subì diverse versioni fino a risultare un disco rotto alle orecchie insofferenti della povera Iris.

Parole, sempre parole, anche qui parole. Si potrà mai prescindere da esse? Sapendo già quanto questo quesito si prenderebbe, da vero prepotente qual'è, tutto lo spazio, lo si lascia da parte per aprire le danze.
Da quella nebbia tutto ebbe inizio.

Buio e sensazione liquida attorno. Pian piano una forza centripeta mi capovolge la testa. Resto a testa in giù e man mano sento sempre più freddo. All'improvviso un lampo bianco che mi accoltella gli occhi. Non sento più la densità di prima. Inspiegabile persino a me quell'urlo che i miei polmoni e la mia ugola spingono fuori. Rosso e uno strano rumore. Più tardi lo assocerò a quello del pianto umano, più esattamente femminile, ma lo imparerò da altre voci.

Il buco dentro di me risucchiò questi ricordi che non saranno mai per me coscienti.

Una donna molto giovane, una ragazza, si contorce per lo sforzo fatto. Piange, piange di lacrime che non sono solo di dolore fisico. Lacrime di rabbia per sé stessa. Perché non è in grado di badare a sé stessa. La sé stessa che ha bisogno di appoggiarsi a più di una spalla maschile per sentirsi apprezzata quanto avrebbe voluto percepire dal padre che, invece, svuotava bottiglie e la riempiva di botte. La pienezza di vino nelle vene e la desolazione nel cuore di quell'uomo frustrato.
Rabbia per avere generato una creatura che crescendo odierà lei e la sensazione di essere stata generata non per amore, ma per uno stupido caso. Un incidente di percorso rappresentato da quel ragazzo con la cresta verde da moicano che è così dolce sotto gli effetti della cannabis, ma altrettanto apatico quando è in astinenza. Quello stesso ragazzo che ora pulisce alla meglio quella creatura dal sangue e la avvolge con fretta ed incuria in un panno di lana cotta, per poi ripensarci e metterci l'unico rimasto della cucciolata della sua gatta. Tutti nati già morti o troppo deboli per attaccarsi alle mammelle. Tutti tranne quella specie di rospetto fulvo. Odio per quel ragazzo e per sé stessa, perché certa che quelle creature faranno la fine degli altri gattini. Sua figlia morta come un micino rachitico. Ecco cosa riesce a combinare nella sua vita...! Rimanere incinta e partorire già al sesto mese.
"Non voglio casini, capisci piccola? Bevi un po' d'acqua e prendi questa pillola, ti sentirai meglio." E invece inveisce, piange fino a soffocare, fino a svenire.

Io mi dibatto sotto quella strana coltre morbida, per cercare di avere un mio spazio vitale rispetto a quel coso peloso, il quale fa lo stesso.
Poi strani movimenti: accelerate, sterzate brusche. Un aprirsi di portiere, una mano tatuata e grande sei volte me. Il coso peloso che fa un flebile verso di riprovazione. Ghiaia sotto di noi e un freddo raggelante.
Rumore di pneumatici che si allontanano stridendo.
Poi buio pesto. Poi voci concitate.

Mi risveglio in uno strano acquario illuminato al neon, due volti enormi che mi scrutano con ansia.

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