Improvvisando

Una faccia perplessa e con un tocco di malinconia. Pensava ed il suo pensiero era come un'enorme tela bianca che assorbiva concetti per poi rifletterli sotto forma di luce bianca. Piccole esplosioni tutte le volte, alla fine di questo processo di combustione. Il rumore si diffondeva nei suoi padiglioni auricolari in solitudine, ulteriormente esasperata da frotte di persone che schivavano il circuito riflessivo come tante, isteriche formichine. La mancanza di ispirazione per un nuovo racconto e/o un nuovo dipinto e/o una nuova opera teatrale/musicale (la persona o, meglio, la vittima di questo soffocamento di astrazioni rimane anonima nella sua identità) generava un bailamme di idee tronche, promettenti nell'attacco, ma senza speranza nel loro auto-concludersi. Hopeless. Colin Firth-Giorgio V che scaraventa i fogli a terra colto da rabbia mista a disperazione infinita, infinita quanto un pozzo senza fondo, una linea geometrica, costituita, appunto, da infiniti punti i quali poi... chi mai si è preso la briga a scuola di fare capire il significato ai discenti il significato di un punto spaziale, di rette che sembrano avere una loro conclusione sul foglio del quaderno? Che senso fattuale può avere una retta infinita? Forse la sagoma delle foglie si può considerare infinita? Certo che no. Avrà anche miliardi di particelle di clorofilla o che so/sappiamo io/noi/voi, ma sono pur sempre quantificabili, no?
L'acidità, nella misura di un vecchio amore sgualcito e spesso parecchio irritante nel ricordo, si libra all'istante dalla panchina con sprazzi autunnali nel cielo, purtuttavia, estivo come un cerchio che, con tanta protervia, si chiude su sè stesso. Risucchio piacevole nello stomaco grazie a questa eliminazione dell'ormai superfluo e, perciò, sommamente sgradito. Ora si può anche cadere a peso morto sul letto e dormire sonni tranquilli, finché la batteria della serenità-horaggiuntolapacedeisensi non deciderà di fare un salto nel vuoto e scaricarsi. Finalmente. Finalmente?! Un'ondata di pensieri-contro, di obiezioni, di contrarietà si infrange sullo scoglio della nullificazione e del lasciarsi andare. Il rosso e il nero di Stendhal. Mai letto, ma la mente rievoca costantemente il titolo in questi duelli e/o corpo a corpo dell'anima. Ma la pesantezza ha vita breve. Viene subito svuotata da un battito d'ala di un volatile grazioso e di piccola taglia, della cui specie di vuole per il momento volutamente sorvolare per non rievocare creazioni mentali passate ed infiocchettare con tanto ed altrettanto nastro bioadesivo.
Odore di prugne. Quindi odore di infanzia, di lotte per stabilire chi fosse il primo della banda estiva a poterne cogliere una manciata prima della tirata d'orecchi serale dei genitori, alla ricerca di un ricongiungimento familiare per la cena. Perché sì, anche se erano il fratellino o la sorellina a sparecchiare, non si capiva perché, ma il ritardo era intollerabile in quanto inceppamento dei nervi tesi di papà e mamma. Quindi le prugne dovevano essere ingoiate in un sol boccone per non dover affrontare con un impreparato imbarazzo le urla genitoriali. Ma poi scende la sera ed il ricordo si arrotonda, si ingentilisce e si fa sogno da dormiveglia. Le labbra si increspano in un flebile sorriso illuminato da denti bianchi e smerigliati al punto giusto.
Domani è un altro giorno, diceva quella donna dal nome di parrucchiera anni '60 in quel famoso film dal titolo, almeno in questo momento, del tutto insignificante alla coscienza. Facciamo, quindi, un'allegra tabula rasa del passato. Mettiamoci tuba e paltò ed usciamo come tanti goffi pinguini da casa per perderci in un bistrot parigino e specchiarci la pelata in un cordiale e chiudere ogni tipo di discussione con il fruscio secco di un ventaglio cinese appartenuto al nonno andato a fare la guerra in un porto esotico e dalle malattie altrettanto fantasiose nella loro crudeltà. Intanto, in questo crocevia di pensieri sconclusionati, si fa strada una tigre del Bengala in busto di stecche di balena, cianciando con fervore dell'orripilante fantasia da quattro soldi di un certo Emilio, il quale voleva sempre citarle nei suoi libercoli, pace all'anima sua. La tigre in questione è cieca e sorda, quindi va a tentoni nei suoi gusti letterari e bisogna prendere i suoi discorsi con doveroso rispetto e diverse pinzette.
Cosa tocca fare alle penne degli scrittori... Scrivere, consumare il loro sangue blu per un capriccio freudiano piuttosto folle di associazioni di idee. Far sfrigolare le proprie punte per assonanze ritmiche tra suoni della lingua scritta e quella tonale del pentagramma udito tramite tubi più o meno catodici, più o meno silenziosi agli altri occhi. E' la crisi dell'autore in cerca di personaggi, cari miei. Tant'è...



Improvvisando deliri mentali per cercare di metterli in sincronia con la modalità shuffle dell'mp3

 

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