Below my feet

Le foglie scricchiolano sotto le suole delle scarpe come patatine fritte. Sono di un colore poco sano... In effetti non è ancora giunta la loro ora, le temperature sono ancora estive talvolta. A volte ci si sente come loro, si fraternizza con il loro crepitio e la loro fragilità. In quest'epoca frenetica, dove chi ha un attimo di respiro viene travolto o, per lo meno, il pensiero del problema della gestione del vuoto gli sfiora per un attimo i pensieri, si gioca sempre d'anticipo. Si vive nella scontentezza di un futuro che non si è ancora materializzato e in quella per un futuro avverato che non corrisponde più alle aspettative passate. Il panta-rei deve mortificare la tranquillità come un cilicio sulla pelle del penitente. Se ci si fossilizza è la fine, il male peggiore. Meglio vivere una vita inquieta che una vita apparentemente sazia ma che vive costantemente di rimpianti.
Prima di scrivere queste righe, mossa da quella sensazione di vuoto derivata da una situazione di stallo che perdura ormai da troppo tempo, ho scorso le righe di un ragionamento di una persona cara, ormai anche lei sospesa nelle nebbie dell'insicurezza di rivederla mai più, in una finestra di disappunto aperta sul mondo come su quella nella quale scrivo ora. Lei dava come spiegazione di questo tormento interiore rispetto al divenire il puntello del fare che spingerebbe alla continua sfida di sé stessi. Sarà proprio così?
Quello che vedo in me stessa e negli occhi degli altri è incertezza, non agone. E' spaesamento, non spinta verso il fare. Certo, la spinta verso il fare c'è sempre, ma non ha quella connotazione creativa che mi sembra di avere colto nelle parole di quella cara persona. Ha piuttosto le tinte del fatalismo e dell'ineluttabilità. Spleen senza psicofarmaci. Attesa di qualcosa di impreciso.

Keep the earth below my feet
For all my sweat, my blood runs weak
Let me learn from where I have been
Keep my eyes to serve, my hands to learn
Keep my eyes to serve, my hands to learn (Mumford&Sons)



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