Uno, nessuno e centomila Facebook

Mi si dice che si è dispiaciuti per il mio 'suicidio' da Facebook. Nonostante le mail funzionino perfettamente, inviando foto di sè, raccontando cosa ci è successo durante la giornata. Per non parlare di skype, dove le distanze spazio-temporali vengono annullate dalla webcam.
Avevo già in mente di scrivere qualcosa sulla natura di Facebook e sul perchè della mia scelta. Originariamente, questo scritto avrebbe dovuto aprire il blog che state leggendo. Ascoltare queste parole mi ha permesso però di allargare lo spettro del mio ragionamento. Mi riferisco, in particolare, alla quotidianità che questo social network ha assunto nel corso del tempo. Quotidianità implica pervasività, in un certo senso.
Quante conversazioni hanno per argomento contenuti trasmessi attraverso questo strumento? Direi che siano, letteralmente, all'ordine del giorno. Perchè negli uffici, nelle biblioteche, c'è il divieto di andare su Facebook? Perchè è diventato quasi un gesto automatico. Annoiati o, al contrario, talmente oberati di lavoro da aver bisogno di una piccola pausa, ecco che il pensiero va a Facebook. Nel mio periodo facebookiano, andare su Facebook aveva lo stesso scopo della tazzina di caffè (e dire che io odio il caffè) o della lettura del quotidiano dopo il pasto. Una piccola 'ricompensa' dalle lotte quotidiane. Uno stiracchiarsi delle membra.
Ma quei cinque minuti di Facebook cosa poi significano in realtà?
All'inizio si va su Facebook per ricercare contatti perduti, sostanzialmente. Avevo letto anni fa un articolo di un giornalista che sottolineava questa 'archeologia della socialità' che è Facebook. Ammettiamolo: Facebook è un formidabile antidoto o, se non altro, contentino per i rimorsi e i rimossi del passato. L'anticamera delle rimpatriate. Per la prima volta, con un semplice click, puoi sapere che fine ha fatto quel cugino di sesto grado che vedevi soltanto ai cenoni di Natale o quella compagna delle elementari che aveva la Barbie più bella della tua... Una volta entrati nella logica di Facebook, ecco che la memoria, da sottovalutato strumento della mente umana, si risveglia e diventa quasi ossessiva. Una volta terminati gli 'scavi' e realizzato che, a parte l'inaspettata gravidanza della tua compagna di banco, un motivo ci sarà stato per aver 'rimosso' quelle persone dalla mente, ecco che Facebook si proietta nel presente e nel futuro.
Tra giustificazioni/razionalizzazioni varie del tipo risparmiosoldinelcellulare-lacomunicazioneèpiùimmediata-possoconoscereunpòmeglioancheseinmodoapprossimativounapersonachehoappenaincontrato, si mette in atto uno strano miscuglio di vita reale e vita virtuale. Talmente strano che paranoie che prima non erano mai esistite ora sorgono. Un'amicizia messa per un attimo in discussione dalla mancata risposta ad una mail, resa più bruciante dal fatto che quella persona, due secondi prima, aveva postato una canzone da youtube. Magari non perchè non tenesse tanto all'amicizia, quanto perchè in quel momento aveva bisogno di un suo spazio. Ma Facebook non tiene conto dello spazio personale. Non tiene conto dello spazio tra dentro e fuori.
Faccialibro è la fabbrica degli smascheramenti delle bugie. Un amico che ti scrive che non può vederti perchè è impegnato, per poi scrivere in bacheca quanto si stia divertendo a vedere un film o un programma alla televisione. Per non parlare delle alterazioni nella percezione di un rapporto o della propria costruzione di sè. Talmente tanto alterata è la nostra serotonina da provare gratificazione dai 'mi  piace' su una nostra foto o su un post che reputiamo particolarmente brillante. Per poi chiederci cosa ci sia di sbagliato se la nostra 'performance virtuale' non ha avuto alcun tipo di feedback. Chiedersi come esprimere in modo facebookiano lo stare insieme a qualcuno. Essere distrutta, o perlomeno turbata, dal tuo ex che mette 'mi piace' alla pagina dei capelli rossi quando ti aveva sempre detto che adorava i tuoi castanissimi bulbi piliferi, per dirne una triviale.
Nel risucchio di Facebook, ribadisco, non c'è spazio per privato e pubblico, quotidiano ed eccezionale, sonno e veglia. E non perchè, come ingenuamente pensavo all'inizio, la privacy messa su Facebook sia più o meno rigida. No. Puoi anche mettere 'solo io' tra le persone che possono visualizzare il tuo profilo e sperimentare la stessa sensazione. Prendiamo il semplice caso di esprimere il proprio apprezzamento per un gruppo musicale o per un libro. Senza Facebook, per sapere che quella persona che ti intriga così tanto amasse leggere Dumas, ti ci voleva almeno una conversazione faccia a faccia con la suddetta persona. E non era neanche detto che quella conversazione ti rivelasse quell'informazione. In un certo senso, anche se in forma superficiale, abbiamo la possibilità di rubare per un nanosecondo i sogni degli altri. Di entrare nella loro testa. Quanto questo possa essere fuorviante va da sè: quando mai le interpretazioni coincidono del tutto con il dato di realtà?
Ammesso e non concesso che si siano sperimentate queste licenze alla pura paranoia, cosa rimane? Rimangono volti falsamente sorridenti, falsamente soddisfatti della propria vita sociale. Ormai è d'obbligo la foto a fine festa da caricare e 'taggare' su Facebook per certificare il proprio indice di gradimento che, in tal modo, viene falsato dalla pressione sociale di dimostrare di avere una buona affabilità.
Facebook, per quanti sforzi si possano fare per renderlo 'blog' o semplice modo di comunicare e di scambiare informazioni, è la cassa di risonanza della solitudine. Hai l'illusione di essere accompagnato, giorno dopo giorno, dai sogni e dalla presenza degli altri al di là del monitor. In realtà, ciò che si ha è un io che si dibatte nelle sue interpretazioni. Da solo. O al massimo con la compagnia di un sorriso di circostanza che si fa beffe di lui.

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