Un sassolino in meno nella scarpa. Critica sociale degli universitari


Credo che l'ossessione quantitativa causata dal capitalismo stia diventando un habitus diffuso anche tra coloro che si dipingono come "alternativi" e che credono che tutto quello che fanno sia un'orgogliosa affermazione della propria originalità rispetto al conformismo livellante della società dei consumi. Il semplice fatto che Bourdieu usasse il sostantivo "capitale" accanto all'aggettivo "culturale" non fa che confermare quest'impressione.
Basti pensare a tutto l'insieme di pratiche e di discorsi nati dall'attività degli universitari: gli esami. Banco di prova rispetto a ciò che si è imparato di un dato insegnamento, l'esame è foriero di sistemi valutativi che non si applicano solo da professore a studente, ma anche da studente a studente. L'esaminato viene così sottoposto sia alla selezione dei docenti che a quella del gruppo dei pari. Entrambe le selezioni incrineranno o confermeranno la realizzazione sociale del soggetto: in una parola il suo prestigio. Usiamo pure questa parola altisonante, perchè di fatto, scardinando tutti i buonismi ed i perbenismi, si arriva sempre lì.
Esaminerò ciò che per la comunità studentesca è un ideal-tipo di studente di successo. In esso vi rientrano tutti coloro i quali rapportano, matematicamente parlando, il numero dei crediti di un esame al numero di ore dedicate alla sua preparazione, così come alla natura e allo spessore dei libri da scegliere. Il sistema di crediti attribuisce, si sa, un peso specifico dell'incidenza del voto sulla media, direttamente proporzionale al numero di crediti dati all'esame. La spia della tendenza degli studenti a capitalizzare il proprio rendimento non sta tanto nell'evitare voti bassi negli esami con più alto tasso di crediti, quanto nella svalutazione degli esami che ne hanno meno. Poco importa se il contenuto di tali esami sia effettivamente importante per il titolo di laurea che si vuole conseguire: meno crediti uguale meno difficoltà uguale meno ore di studio. Le ultime due uguaglianze vengono percepite più come diritti che come equivalenze aritmetiche. Appena un programma esce da questi schemi con testi più complessi o con un sovrappiù di pagine, ecco che le proteste si fanno sentire. Non stupisce se, con queste condizioni, uno studente che vuole approfondire una materia chiedendo letture aggiuntive al prof venga tacciato di essere un "secchione".
Un altro elemento chiave di questo ideal-tipo è la velocità. E' uso comune il conto alla rovescia degli esami mancanti, tanto radicato che la domanda più diffusa che si rivolge ad un collega che si conosce superficialmente è: "Quanti esami devi ancora dare?" Allo stesso tempo, per poter esprimere appieno la propria soddisfazione per i risultati accademici ottenuti, si specifica spesso il numero di esami mancanti insieme al voto. Non ha importanza se il tuo collega ha avuto i suoi motivi per non dare l'esame subito (lutti, problemi familiari, problemi personali, ma anche esperienze belle o totalizzanti): il giudizio implicito che passa è che tu sei stato più bravo di lui. Il prestigio aumenta ulteriormente se finisci gli esami dell'anno accademico mesi e mesi prima: un segno di distinzione da utilizzare nei migliori rituali di ostentazione come le attese ai ricevimenti dei docenti.
Ad una mercificazione (dato che si tratta della valorizzazione della quantità e non della qualità) del tempo impiegato per lo studio, corrisponde una sacralizzazione della distanza spaziale. Tale fenomeno non è direttamente connesso alla capitalizzazione dello studio, ma piuttosto ne è una tenue derivazione: la valutazione positiva della compressione temporale precede quella altrettanto positiva della distanza spaziale tra luogo di studio e paese dove si vive da tempo o dove si è nati. L'essere distanti, secondo quest'ottica, rende più interessanti, più "intellettualmente attraenti": "se è arrivato sin qui e si trova a suo agio, allora ha gli attributi necessari. E' degno di stima". Questa grossolana sintesi trascura la molteplicità di scelte che stanno dietro al fattore distanza: scegliersi una qualità di studi superiore a quella che si troverebbe nell'università più vicina, voler uscire dal controllo genitoriale per poter fare quello che a casa sarebbe visto di mal occhio, uscire da una situazione familiare difficile, ecc. Chi invece è "sedentario" viene tacciato di essere un "privilegiato" perchè non deve pagarsi il vitto, l'alloggio e gli spostamenti. Non solo non si pensa che forse la sua famiglia non è in grado di aiutarlo finanziariamente (si potrebbero considerare i fuori sede anche loro come privilegiati, dato che possono vivere una vita semi-indipendente e evidentemente, se esistono, significa che possono sostenersi ad un livello economico sufficiente per vivere fuori casa), ma si sminuisce la sua scelta, che, come tutte le altre, ha diritto di cittadinanza.
Per studio distante si può intendere anche il lavoro di campo condotto dagli studenti di antropologia (essendo a conoscenza di discorsi "tipici" riguardo a questo tema). Spesso, più la meta del lavoro di campo è distante, più il lavoro di tesi acquisisce importanza agli occhi degli altri a prescindere dai contenuti della tesi stessa. Come se l'alterità fosse solo osservabile in contesti esotici, quando da un bel pò l'antropologia sta notando che l'esotico può essere anche molto vicino a noi.
Si prenda tutto questo come un'osservazione di una studentessa che ha attraversato alcune delle fasi elencate come tratti dell'ideal-tipo studentesco perchè comunque facente parte della comunità degli studenti, ma che ha notato quanto questi habitus mentali possano essere alienanti e, dissociandosene, ha dovuto sopportarli con crescente insofferenza. Come, appunto, fastidiosi sassolini nella scarpa.

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