Letture per cuori infranti
"Nel
lutto reale, è la «prova di realtà» a mostrarmi che l’oggetto amato ha cessato
di esistere. Nel lutto amoroso, l’oggetto non è né morto né lontano. Sono io a
decidere che la sua immagine deve morire (e questa morte, io potrò arrivare addirittura
a nascondergliela). Per tutto il tempo che durerà questo strano lutto, dovrò
portare il peso di due infelicità fra loro contrarie: soffrire per il fatto che
l’altro sia presente (e che continui, suo malgrado, a farmi del male) e
affliggermi per il fatto che egli sia morto (se non altro, che sia morto quello
che amavo). Cosicché mi angoscio (vecchia abitudine) per una telefonata che non
arriva, ma nello stesso tempo devo dirmi che questo silenzio è, in
ogni caso, inconseguente, poiché io ho detto di non aspettarmi più
niente: il telefonarmi dipendeva soltanto dall’immagine amorosa; scomparsa
quell’immagine, sia che suoni o che non suoni, il telefono riprende la sua
futile esistenza.
[…]
Per
quanto io lo rovini, il lutto dell’immagine mi rende angosciato; ma, d’altro
lato, per quanto io riesca a dargli buon esito, esso mi rende triste. Se
l’esilio dell’Immaginario è la via obbligata per giungere alla «guarigione»,
allora bisogna convenire che il progresso è triste. Questa tristezza non è una
malinconia- o almeno è una malinconia incompleta (niente affatto clinica),
giacché non mi rimprovero niente e non sono spronato. La mia tristezza
appartiene a quella frangia della malinconia in cui la perdita dell’essere
amato resta astratta. Qui, la perdita è doppia: non posso neppure investire la
mia infelicità come quando soffrivo per il fatto di essere innamorato. Allora,
io desideravo, sognavo, lottavo; un bene prezioso era dinanzi a me,
semplicemente ritardato, il suo possesso era ostacolato da alcuni contrattempi.
Adesso non c’è più niente; tutto è calmo, e questo è peggio. Sebbene sia
giustificato da un’economia – l’immagine muore affinché io viva -, il lutto
amoroso ha sempre uno strascico: una frase viene ripetuta in continuazione:
«Che peccato!»" Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso
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