Fasci di vita

Il ragazzo dai capelli rossi aveva un completo blu quel pomeriggio. La posizione del corpo rigida e sull'attenti. Un dito della mano sinistra, mentre la destra azionava l'indice a seconda delle istruzioni sul monitor, tamburellava con impazienza il mento appuntito. Al lato opposto della stazione, una coppia di ugandesi, ormai al di là dei cinquanta, parlottavano nella loro lingua locale, ridacchiando rumorosamente e con schiocchi di lingua quando i freschi pettegolezzi del loro villaggio, appena colti dal cugino venuto per un periodo di lavoro, diventavano piccanti al punto giusto.
In un canto alla loro sinistra, la loro figlia minore scuoteva la testa con enfasi ed irritazione. Le scosse le avevano fatto scivolare dalla testa la multicolore fascia per capelli. Il libro che teneva in grembo ebbe perciò un attimo di pace. Gli angoli della copertina erano letteralmente autografati dalle sue unghie, dipinte di verde bottiglia al momento. Semplicemente, non poteva più soffrire il campanilismo e le ristrettezze di vedute dei suoi genitori. I suoi sogni di aspirante architetta eco-sostenibile divenivano parte stessa del gossip di villaggio, insieme al commento sussurrato "Non è ancora sposata.". Un brivido claustrofobico le fece vibrare per un momento la schiena. Come se una donna potesse essere presa in considerazione come essere umano solo in quanto proprietà di un uomo. Non riuscì a trattenere una risata amara e tetra. Ma subito ristette, per evitare di attirare l'attenzione dei genitori.
Un vecchietto, con in mano un involto con qualche fiore reciso ed un grosso cespo d'insalata, fischiettava tra sé e sé, oscillando il bastone da passeggio con noncuranza. I suoi occhi azzurri stinti si erano illuminati di una luce imperscrutabile. Lisa, alle sue spalle, riconobbe il motivo: Il barbiere di Siviglia. Era venuta, come tutte le mattine, a fare una fototessera per certificare visivamente le sue emozioni giornaliere. Non aveva nessuno scopo aggiuntivo, solo capire come agissero i sentimenti umani nel suo corpo e che codice essi davano quando trasparivano sull'epidermide.
Lo stomaco stava ancora assaporando il waltzer dei müesli con il latte freddo. Odiava quella combinazione nutritiva, ma sua madre non aveva ancora fatto la spesa. Sua madre non si occupava di nulla che fosse terreno da quando suo padre era deceduto per un cancro alla cistifellea. No, nessuna conversazione spirituale o roba del genere. Più prosaicamente, la sua mente si era fatta sempre più distante, persa nei suoi ricordi e sganciata dal presente.
A Lisa piaceva andare in stazione anche per altre ragioni: la sequenza ritmica delle luci al neon, gli spezzoni dei discorsi dei viaggiatori. La sensazione che lì ogni barriera diventava intreccio: corpi che si urtano per la fretta, amicizie o amori nati in una carrozza di seconda classe, baci ed abbracci, con magari qualche omaggio floreale, dei parenti che non si vedevano da tanto tempo.
La casa di Lisa era nelle estreme vicinanze della stazione. Fin da piccola era abituata al servizio buono per gli ospiti che dava dei piccoli sussulti vetrosi al passaggio di un treno, la zuppa che desiderava non essere più contenuta da nessuna scodella. Le conversazioni che avevano termine fino a quando il passaggio era terminato. Non la pensava come sua madre, una fastidiosa fonte di emicrania, o come il padre, una via più veloce per coniugare affari e vita privata. Treni e stazioni erano fasci di vita che ti attraversavano l'esistenza con la violenza di un caso. Ineluttabilità del vivere, nonostante tutto.
Ora che tutto le sembrava frutto del caso, dopo che il padre, broker anafettivo divenuto padre comprensivo dopo che "il male lo aveva pizzicato", come amava dire di sé stesso quando qualcuno tirava fuori la malattia con aria pietosa, era stato inghiottito da una malattia che non era curabile, ma posticipabile, l'ingerenza dell'esistenza era ciò che ricercava ossessivamente. Non importava più come si chiamava, quali principi etici avesse, cosa pensavano gli altri di lei. Lei era fusa con gli altri e con le sue emozioni. Non era Lisa-curiosa, ma "stato di curiosità". La non-Lisa spinta da "stato curioso" la portava in stazione per cercare di indovinare i pensieri degli altri. Nello stesso quaderno dove registrava gli avanzamenti degli "stati", riempiva con una grafia sbrigativa e con pochi spazi tra le parole, pagine sulle "probabili storie della stazione".
Il ragazzo fulvo aveva passato la notte in una città straniera. Era come il protagonista de Il castello di Kafka: stava affannandosi a cercare una chiave che lo facesse entrare. Chissà, forse la risposta del Bancomat avrebbe determinato l'inizio di una nuova vita, o forse si trattava semplicemente di un musicista (a giudicare dal completo elegante) che passava di lì in tournee e che si prende un pò di contante per la cena.
Il vecchietto davanti a lei stava aspettando una fiamma e l'insalata era stata il pretesto davanti al negoziante per comprare, così anziano, un bouquet così carico di vita. Oppure la stava ricordando, era l'anniversario del loro primo incontro. Stava ripercorrendo tutti i singoli fotogrammi dell'evento. L'insalata era per la figlia, che gliela aveva chiesta, mentre stava uscendo, come contorno per la scaloppa ai funghi che avrebbe fatto per lui, i nipotini ed il genero. Era sabato pomeriggio, incontrarsi per cena con i familiari non è affatto un'insolita abitudine.
L'avevano colpita i colori di quella ragazza accigliata nell'angolo. Se solo non avesse avuto quell'espressione irritata, quasi fosse arrabbiata col mondo intero, l'avrebbe incuriosita come papabile amica. Deve essere una di quelle ragazze al centro dell'attenzione senza che ne siano consapevoli. Che dettano mode perché pensano sempre con la propria testa. Questa carica esplosivamente anarchica sembrava però castrata da qualcosa. Forse da quella coppia che poteva rappresentare i suoi genitori per le caratteristiche fisiognomiche, ma che sembravano venire da altri luoghi e tempi.
Contenitore, trasparente Lisa, magma colorato, contenuto denso la ragazza. La prima alla ricerca dello "stato", la seconda nell'inconsapevolezza di averlo, uno "stato". Gli sguardi si incrociarono, giusto il tempo che il treno della famiglia venisse annunciato. 
Ecco la bellezza dei treni, pensò Lisa: l'incanto della novità viene preservato dall'istantaneità di una separazione.

Scritto in treno, 16/2/13

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