Quaderni da New York #1 Camminare




Le luci si spengono, ma la vita si prende una pausa cullata dall’abbraccio di Morfeo soltanto nel tuo caso. Miliardi di luci fuori, di colori anche accecanti che non si stancano mai di intorpidire gli occhi con la loro violenza cromatica. I tuoi occhi si chiudono dolcemente, mentre senti in lontananza i suoni prodotti dai vari Ferry che transitano, chissà  per quanto ancora, sulla liscia tavolozza dell’Oceano. Quale sarà l’ultima corsa per Staten Island, in una città che non vuole mai dormire, sempre frenetica e dall’etica del “ogni lasciata è persa”, come se fosse un gigantesco scommettitore ormai malato e rovinato dal gioco?
Il sonno non è mai concentrato su sé stesso perché c’è la consapevolezza che là, dall’altra parte dellapromenade, c’è un colosso, una giungla d’asfalto che saprà inghiottirti seducendoti proprio in virtù della sua indecifrabilità. Cosa significherà tutto questo? L’orologio biologico verrà sostituito da uno legale, quello dell’ansia di sapere che anche domani ci sarà da camminare… Quanto sarà il livello di sopportazione dei vostri piedi, costretti dentro scarpe che, da comode, vorreste in modo repentino togliervi, come duri calli che non permettono più di toccare con la coscienza di farlo? Il colosso lì di fronte a voi vi impedisce di poter fare delle previsioni: dietro l’angolo ci potrebbe essere un imprevisto (la metro che non fa tutte le fermate segnate, un desiderio lancinante di andare alla toilette in una lunga avenue dove non c’è neanche un’apparenza di bar)… O un mondo colorato che vi abbraccia e vi tenta, nel quale vorreste perdervi.
Camminare.
Ogni newyorkese, appena riaprirà gli occhi, saprà che lo aspetterà al varco l’idea che dovrà camminare. Non importa se la fermata della metro si trova proprio sotto al vostro fioraio thailandese di fiducia, al chiosco dove prendete sempre il giornale, o a quella bella chiesa gotica che forse visiterete alla ricerca di un conforto spirituale laddove si è perso totalmente il concetto di pausa.
Se noi europei pensiamo che il camminare contempli anche il passeggiare, ovvero il prenderci una pausa dalla frenesia quotidiana, di stare da soli con i nostri pensieri e magari fermarci perché qualcosa ha catturato la nostra attenzione, beh è meglio che lo resettiamo un attimo, giusto per il tempo che vogliamo impiegare per sopravvivere alla Grande Mela. Sì, sopravvivenza: calcolo della giusta quantità di carburante ingerito per le distanze da percorrere.
Camminare speditamente.
Forse è questa la giusta accezione newyorkese del camminare. Non si sa mai se la forza propulsiva della folla scalpitante dietro di te, anch’essa composta da monadi che si mettono in gioco nella loro frenetica ricerca di obiettivi da realizzare, una folla che non è folla, una folla all’interno della quale sentirsi soli come in un deserto, avrà la meglio su di te, se per un attimo i tuoi pensieri, che non camminano, né di certo corrono, prendono il sopravvento. Prevenire è meglio che curare, per cui procedere a passo spedito. Sempre. Anche quando si pensa di essere soli, perché la folla qui a New York è come l’aria, onnipresente, ma non la senti sempre.
Ancora prima che l’aria frizzantina cominci a pizzicarti le guance e a puntellarti il cervello di possibili storie romantiche che il vento potrebbe spifferarti leggero nelle tue orecchie, devi essere consapevole della meta. Non di una meta qualsiasi, ma di quello che sarà il tuo traguardo del giorno.
Un vero newyorkese ha in sé un’etica di autodisciplinamento quasi ascetica: il traguardo è là, le strade sono mezzi di cui le gambe si servono per raggiungerlo, i pensieri devono essere leggeri, meglio ancora se esclusivamente finalizzati a pensare a scorciatoie, strategie per raggiungerlo il più velocemente possibile, ringraziando di essere sfuggiti al muro umano di altri che, magari, si prefiggono il medesimo obiettivo.
Il passaggio dal camminare al correre è molto breve, quindi.
La corsa prevede concentrazione ascetica focalizzata unicamente alla meta, leggerezza ed elasticità della mente come delle membra. Tutto ciò che un newyorkese ha introiettato fin dalla nascita, insomma.
Di qui l’importanza che la maratona e il jogging, come sport socializzante ma al tempo stesso temprante in vista degli spostamenti quotidiani, hanno per la metropoli.
Nonostante il desiderio, tutto americano e capitalista, di rendere gli esseri umani efficienti e rapidirobot, la natura biologica ancora riesce a resistere e impone un luogo nel quale, almeno per poco e sempre in linea con i propri impegni quotidiani, tirare un sospiro di sollievo e rendersi conto di avere dei polmoni, non semplicemente di sfruttarli per sedersi a una scrivania di un anonimo ufficio. E cosa c’è di meglio, se non respirare un po’ al Central Park, logisticamente messo al centro della pianta della città, in modo che vi possa essere una distribuzione equidistante del desiderio di essere trasportati in un’era preindustriale, quando ancora i pensieri erano pesanti e ti imponevano di sederti e di farci i conti?
Non a caso il Central Park è una delle mete più ambite dagli europei, ancora fanti zavorrati, non come gli aerodinamici autoctoni. Ed è proprio qui che io, frastornata dalla potenza e vastità del camminare newyorkese, guardo le mie scarpe, amandole per la loro capacità di resistenza rispetto al suolo, ma al tempo stesso odiandole come si può odiare una persona troppo soffocante.
Telepaticamente gli do una strizzata d’occhi: dimentichiamoci della folla umana per quella più silenziosa e rispettosa delle foglie infuocate. Avrò pensato realmente a questo mentre scattavo la foto e percepivo la morbidezza di questi amabili resti?
È come se il mio pensiero europeo manifesto fosse stato ricacciato nell’inconscio per lasciar spazio ad un ragionamento sincopato e pragmatico che potesse sintonizzarsi sulla stessa linea d’onda di quello newyorkese. Si sa, bisogna conoscere il proprio nemico. In questo caso bisognava anche impersonarlo.
Ma ogni volta che mi rifugiavo sotto le coperte potevo tirare un sospiro di sollievo: i miei vortici contorti e fiabeschi, tipicamente europei, erano sempre lì ad aspettarmi, trasformando le novità sincopate in armonie colorate, tanto da farmi credere di essere in un qualche placido molo, cullata dalle onde per poi fluttuare insieme a loro.
La sveglia è sempre il momento in cui queste tue fantasie da europeo svaniscono, proprio perché è il momento che condividi maggiormente con i newyorkesi: per che cosa dovrò camminare oggi?

(scritto nel Novembre 2011)

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