Sull'Orientalismo e dintorni - Parte Prima

Mi verrebbe da accostare il bellissimo racconto breve di Mahsa Mohebali, Love in the Footnotes (tradotto nell'interessantissimo progetto editoriale Asymptote) con il romanzo di Mathias Ènard, Boussole, vincitore del Premio Goncourt 2015, anch'esso un capolavoro in quattrocento fragranti pagine. La struttura narrativa è simile: l'amore diventa il pretesto per un viaggio erudito a metà strada tra l'affascinazione dell'orientalista di primo pelo (o, se non altro, apparentemente ingenuo) e la conoscenza acuta e consapevole dell'etnologo. Quello che Mohebali sviluppa nell'apparato di note che contornano la descrizione di un rapporto amoroso vissuto in prima persona da una voce femminile in Ènard è una piacevole e appassionante indulgenza in farcitissime digressioni che aprono mille mondi da scoprire, come quello dell'autore iraniano Sadeq Hedayat o il rapporto tra nazismo e orientalismo, per citarne solo alcuni.
Per chi, come me, si sta interessando di letteratura araba (per quanto questo termine sia fuorviante, dato che accomuna tradizioni culturali e letterarie molto diverse tra loro) e persiana, l'incrocio di più fonti, pratica stuzzicata dalle stesse pagine di Boussole, diventa uno prezioso strumento per cercare di estinguere (o di alimentare ulteriormente?) la sete di conoscenza rispetto a questi due ambiti. Prendiamo l'esempio del già citato Hedayat: 
Sadeq Hedayat
bohemienne ante-litteram, anch'egli, insieme a Kafka, tenace vegetariano, diviso tra un Occidente letterario di chiara impronta gotica (Poe) o più prettamente, appunto, kafkiana e un Oriente (se così lo si vuole chiamare) che potrebbe essere definito tramite la categoria, già attribuita ad autori sudamericani ed indiani, del realismo magico. Ecco quindi che, ne La civetta cieca, la vita del rione, con botteghe e negozianti, se vogliamo, illuminati dallo sguardo millimetricamente preciso della voce narrante, si affaccia alla finestra di un marito più volte cornificato e sotto effetto di una nube di oppio, di un delirio onirico che torna su stesso, in ampie volute e confondendo l'orientamento del lettore: tra le carni della moglie, definita come una mandragora, e quelle disossate del macellaio di quartiere si intesse un'unione sfumata, sinestesica, se mi è concesso usare questo termine. 
Un orientalismo che non è solo appannaggio degli occidentali, ma che è in realtà uno specchio di affascinazione rispetto ad un'alterità relativa: ora l'India di Hedayat, dove lo stesso autore aveva vissuto per un periodo di tempo, ora l'Occidente rivisto e ripreso dallo stesso Hedayat e da altri autori, come la protagonista di Boussole, Sarah, sostiene in varie fasi della sua vita, dalla tesi di dottorato in poi. L'orientalismo, quindi, diventa, da disciplina settaria, un ulteriore strumento di auto-analisi e psicoanalisi dell'altro, nelle reciproche dinamiche di desiderio e repulsione, strumentalizzazione e ingenuità. Una bussola, appunto, nella quale ritrovarsi con occhi diversi, nuovi. 

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