La nuova lotta di classe-Against the Double Blackmail, Slavoj Žižek



La lettura di questo libro piuttosto controverso del filosofo sloveno Slavoj Žižek è come una matriovska o un vaso di Pandora che trascina problematiche e interrogativi aperti in un vortice dal quale è difficile uscire. Penso quindi di essermi messa nei guai quando mi sono detta all’ultima pagina che dovevo assolutamente scriverne sul blog. Quasi una settimana di ricerca filologica per parole chiave delle fonti, un giochetto che spesso devo fare per il mio lavoro: deformazione professionale, in poche parole. Devo però ammettere che questa ricerca non è stata esaustiva, che continuo a pescare ulteriore materiale su Žižek. Ma, come i buon vecchi maestri accademici mi hanno sempre detto, bisogna anche autocensurarsi, decidere di prendere un machete e aprirsi un varco nel mare magnum dei riferimenti bibliografici e mettersi a scrivere. Agire, sedersi, fare un corpo a corpo con la stilografica o con la tastiera del computer. Altrimenti chissà dove sarai sospinta. Non si può vivere di rimpianti, almeno e soprattutto in accademia non se ne esce vivi altrimenti. Scomodo le Muse per scusarmi di questo prologo prolisso, ma, data la bufera polemica scatenatasi su La nuova lotta di classe-Against the Double Blackmail, ci sono delle attenuanti. E che attenuanti.
Il libro è in realtà un collage di articoli (inutile dire che anche Žižek soffre della ben nota sindrome dei docenti universitari che ripropongono minestre già riscaldate al desco degli studenti ignari…!) già apparsi in questi ultimi anni sui temi dei rifugiati, della guerra civile in Siria, dei fatti di Colonia, fino alle primavere arabe e agli incendi delle banlieues parigine. Un concentrato altamente infiammabile e per il quale chiunque si sente chiamato in causa. Quello che farò, quindi, non sarà una semplice recensione del testo, ma, se vogliamo, un approccio intertestuale a Žižek: per capire “l’affaire Žižek” bisogna risalire alle radici del suo pensiero, al suo humus, so to speak.
Come sappiamo, le traduzioni italiane molto spesso partono per la tangente. Žižek non ha fatto eccezione. Mentre il titolo originale fa riferimento ad un articolo uscito per Socialist Review e che, a sua volta, poggia sul volume edito con il dottorando Agon Hamza, From Myth to Symptom-The Case of Kosovo, il titolo italiano sfrutta invece un punto che viene sviluppato solo in modo straversale e che, forse, se fosse stato sviluppato maggiormente, probabilmente avrebbe placato buona parte del malcontento intellettuale ed accademico. Ma su questo torneremo più tardi. Ciò che tormenta Žižek è un dubbio amletico di tipo psicoanalitico: “The true question is not “are immigrants a real threat to Europe?”, but “what does this obsession with the immigrant threat tell us about the weakness of Europe?”” (articolo del Newstatesman del 29 Febbraio 2016). Scomodando l’Ayatollah Khomeyni, in una public lecture alla London School of Economy, proprio in occasione dell’uscita di Against the Double Blackmail, la risposta, da parte non-Occidentale, l’altra faccia della medaglia, sarebbe “what frightens us is the invasion of Western immorality”.
Cosa ha prodotto quest’essensializzazione della quale viene tacciato, non senza ragioni, lo stesso Žižek? Il ricorrere allo scontro di civiltà è in realtà, per il filosofo sloveno dai tanti tic, il prodotto malato di uno stesso sintomo. La sinistra liberale e l’estrema destra, il fondamentalismo islamico e gli eserciti occidentali fanno parte di una gigantesca illusione ottica: si pensa siano diametralmente opposte, ma in realtà questo è solo un diversivo di origine politica ed economica. Se si pensa al caso del Kosovo, per esempio,

What we have here is a political example of the famous drawing in which we recognize the contours either of a rabbit head or of a goose head, depending on our mental focus. If we look at the situation in a certain way, we see the international community enforcing minimal human rights standards on a nationalist neo-Communist leader engaged in ethnic cleansing, ready to ruin his own nation just to retain power. If we shift the focus, we see NATO, the armed hand of the new capitalist global order, defending the strategic interests of the capital in the guise of a disgusting travesty, posing as a disinterested enforcer of human rights, attacking a sovereign country which, in spite of the problematic nature of its regime, nonetheless acts as an obstacle to the unbriddled assertion of the New World Order.

La doppiezza dell’anatra-coniglio è la stessa alla quale allude il titolo Against the Double Blackmail. La xenofobia dell’estrema destra non è poi tanto diversa dal multiculturalismo della sinistra liberale. Quello che vuole sottolineare Žižek è che il relativismo culturale, il condurre tutto ad una contestualizzazione sociale-culturale, ovvero il dire “La loro cultura li porta a pensare in un certo modo, per cui non possiamo imporre i nostri paramentri occidentali sulle loro questioni”, è qualcosa di fondamentalmente perverso. Si ha una naturalizzazione al contrario, una reificazione o ontologizzazione dell’altro. L’altro deve essere la nostra ombra: noi siamo i carnefici e responsabili di tutto il male che esiste al mondo, l’altro è una vittima che deve essere salvata, in senso escatologico, da noi, che, in questo modo, mondiamo le nostre colpe. In realtà, l’altro non è affatto quella vittima indifesa e in balia di esseri totalmente malvagi e depravati che è al centro del dibattito occidentale. Prendiamo sempre il caso del Kosovo,
When the Western powers repeat all the time that they are not fighting the Serb people, but only their corrupted leaders, they rely on the (typically liberal) wrong premise that Serbs are victims of their evil leadership personified in Milosevic, manipulated by him. The painful fact is that the Serb aggressive nationalism enjoys the support of the large majority of the population - no, Serbs are not passive victims of nationalist manipulation, they are not Americans in disguise, just waiting to be delivered from the nationalist spell. On the other hand, this misperception is accompanied by the apparently contradictory notion according to which, Balkan people are living in the past, fighting again and again old battles, perceiving recent situation through old myths... One is tempted to say that these two cliches should be precisely TURNED AROUND: not only are people not "good," since they let themselves be manipulated with obscene pleasure; there are also no "old myths" which we need to study if we are really to understand the complex situation, just the PRESENT outburst of racist nationalism which, according to its needs, opportunistically resuscitates old myths. To paraphrase the old Clintonian motto: no, it's not the old myths and ethnic hatreds, it's the POLITICAL POWER STRUGGLE, stupid!
Questo processo di vittimizzazione dell’altro deve restare una costante nei giochi di potere tra Occidente e il resto del mondo.
In short, while NATO is intervening in order to protect the Kosovar victims, it is at the same time well taking care that THEY WILL REMAIN VICTIMS, not an active politico-military force capable of defending itself: even if NATO will eventually occupy the entire Kosovo, it will be a devastated country with victimized population, not a strong political subject. What we encounter here is again the paradox of victimization: the Other to be protected is good INSOFAR AS IT REMAINS A VICTIM (which is why we are bombarded with pictures of helpless Kosovar mothers, children and elder people, telling moving stories of their suffering); the moment it no longer behaves as a victim, but wants to strike back on its own, it all of a sudden magically turns into a terrorist/fundamentalist/drug-trafficking Other…

Žižek vuole quindi uscire da questa logica. L’altro è un intruso, qualcuno che si appropria del nostro oggetto libidico e ne gode in modo osceno. In quanto tale, l’altro costituisce una minaccia. Žižek fa l’esempio dei fatti di Colonia e della violenza nelle banlieues parigine: in entrambi i casi si può parlare di una violenza che Walter Benjamin definerebbe “divina”, ovvero

l’ostinata abitudine di concepire quei fini giusti come fini di un diritto possibile, e cioè non solo come universalmente validi (ciò che scaturisce analiticamente dall’attributo della giustizia), ma anche come suscettibili di universalizzazione, ciò che, come si potrebbe mostrare, contraddice a quell’attributo. Poiché scopi che sono giusti, universalmente validi e universalmente riconoscibili per una situazione, non lo sono per nessun’altra, per quanto simile per altri rispetti.—Una funzione non mediata della violenza, come quella di cui si discute, ci è già mostrata dall’esperienza quotidiana. Così, per ciò che è dell’uomo, la collera lo travolge agli scoppi più aperti di violenza, che non si riferisce come mezzo a uno scopo prestabilito. Essa non è un mezzo, ma una manifestazione (citazione di Walter Benjamin in Žižek)

In un Carnevale o baccanale Bakhtiniano, l’altro infierisce sugli elementi sui quali poggia il nostro desiderio, ovvero un pantagruelico possesso di tutto lo scibile. Un sogno utopico che spinge gli stessi rifugiati alla ricerca di una “Norvegia”, di un paese ideale dove l’opulenza e la libertà o proprietà privata la fanno da padrone. Questa dinamica è la stessa che sussiste tra i due sessi: la dilagante violenza nei confronti delle donne riprodurrebbe proprio lo sfruttamento classista che gli “altri” (rifugiati, islamici, ecc.) vogliono fare a brandelli in una violenza distruttiva ed autodistruttiva assolutamente nichilista. Questa generale perdita di senso della violenza (non scomodo Weber, lui ormai credo che ne abbia fin sopra i capelli di essere citato) sarebbe prodotta da quel cortocircuito mentale o culturalizzazione forzata che dicevamo sopra.
Per chiarire ulteriormente il Žižek-pensiero, facciamo un passo indietro. In una lunga ed accesa intervista a BBC radio, Žižek sostiene che la religione islamica abbia in sé interessanti spunti socio-culturali, specie nell'idea di comunità islamica, o Ummah, cosa che, invece, non si verifica nel cristianesimo, improntato ad una dimensione familiare e patriarcale: Maometto non si rivolge ad Allah come ad un padre. Sempre nella stessa intervista, Žižek piccona nuovamente il multiculturalismo della sinistra, la culturalizzazione di elementi che sono economici e politici. Ciò che Žižek propone è, invece, il percorso inverso, la politicizzazione e l’economizzazione delle dinamiche Noi/Loro. Infatti i terroristi provengono da famiglie considerate pienamente integrate nel tessuto sociale europeo, per cui il loro attacco si può considerare come una forma di protesta verso un certo tipo di integrazione, ovvero un superficiale volersi bene mantenendo le distanze che produce, come definisce in un altro articolo, “the decaffeinated Other”, qualcosa che soddisfa un desiderio recondito che non deve essere svelato, pena la condanna sociale, e mascherato da una veste di apparente politically correct. Žižek fa un esempio ad hoc che colpisce immediatamente la sensibilità occidentale, ovvero l’antisemitismo.
The mechanism of such neutralisation was best formulated back in 1938 by Robert Brasillach, the French fascist intellectual, who saw himself as a "moderate" anti-semite and invented the formula of reasonable anti-semitism.
"We grant ourselves permission to applaud Charlie Chaplin, a half Jew, at the movies; to admire Proust, a half Jew; to applaud Yehudi Menuhin, a Jew; ... We don't want to kill anyone, we don't want to organise any pogrom. But we also think that the best way to hinder the always unpredictable actions of instinctual anti-semitism is to organise a reasonable anti-semitism." (articolo da ABC Religion and Ethics del 27 Luglio 2011)

Questo porta ad una falsa integrazione, in quanto tutte le condizioni di sfruttamento economico e politico continuano a sussistere. La vera solidarietà, sostiene Žižek, consiste nell’unirsi tutti insieme ad una comune lotta, quella contro il capitalismo. Altrove, il filosofo contempla il fatto che l’alterità possa portare ad un ripensamento della nostra stessa identità: uno specchio ribaltato, deformato secondo la prospettiva dello straniero, che conduce non ad una forma di relativismo, ma a qualcosa di più radicale, ad una reale co-esistenza:
Is a “way of life” not precisely such a way of being a stranger on the earth? A specific “way of life” is not just composed of a set of abstract – Christian, Muslim – “values”; it is something embodied in a thick network of everyday practices: how we eat and drink, sing, make love, how we relate to authorities. We “are” our way of life: it is our second nature, which is why direct “education” is not able to change it. Something much more radical is needed, a kind of Brechtian “extraneation”, a deep existential experience by means of which it all of a sudden strikes us how stupidly meaningless and arbitrary our customs and rituals are – there is nothing natural in the way we embrace and kiss, in the way we wash ourselves, in the way we behave while eating… (articolo del Newstatesman del 29 Febbraio 2016)

La pars destruens di Žižek è particolarmente ricca, a volte persino pop in quanto esce dalla torre d’avorio dell’accademia per sporcarsi le mani nel discorso mainstream. In pratica è come se Platone o Socrate ci venissero insegnati imprecando. Uscendo da questa metafora scivolosa, rimane comunque un grosso interrogativo, ovvero la pars construens. La lotta di classe, il rovesciamento del capitalismo e delle condizioni di oppressione viene sempre menzionata come soluzione ai mali odierni, ma non vi è un documento programmatico di Žižek in tal senso, un nuovo Tommaso Moro con una nuova città ideale. Qua e là il filosofo sloveno borbotta che bisogna istituire un potere super-partes, scollegato dalle logiche nazionaliste o di unità e più pragmaticamente teso alla regolamentazione dei confini e dell’ordine pubblico. In altre circostanze, chiama in causa i “valori europei”, come la libertà di espressione e l’emancipazione femminile. Devono quindi esserci dei valori comuni tra noi e loro per regolare i nostri impulsi di rapina o di occupazione dello spazio altrui, punti che sarebbero suturati dalla lotta al capitalismo. Al tempo stesso, chiama in causa un “populismo di sinistra”, alla Bernie Sanders, che faccia proprio il malcontento delle classi “subalterne”.
Mentre il tema di un ordine politico-economico soggiacente e strutturale al discorso culturale è pienamente condivisibile, un dubbio amletico è posto proprio da quei “valori europei”. Certo, abbiamo visto che la posizione di Žižek nei confronti di quello che Said avrebbe chiamato neo-orientalismo è più sfumata di quello che potrebbe apparire di primo acchito, e articoli di accademici arabi, anche se pochi, lo dimostrano. Tuttavia, l’impressione è che Žižek caschi comunque nella trappola dell’essenzializzazione: in base a quale criterio stabilire che i cosiddetti valori comuni non siano in realtà un’altra naturalizzazione? In certi punti lui stesso parla addirittura di un altro ontologicamente diverso. Per chi non è digiuno del dibattito antropologico e filosofico sull’ontological turn, questi termini mettono subito in allarme. Non tanto perché si creano condizioni di parità tra “noi” e gli “altri”, non più in sudditanza rispetto a noi, quanto per la produzione di qualcosa di fisso, inamovibile e quantificabile. Vi ricorda qualcosa? Non aggiungo altro.
D’altronde, il capitalismo nasce in Occidente, per poi diffondersi nel resto del globo ed interagire sotto nuove forme, come il caso dell’Arabia Saudita. Interessante, inoltre, è che l’altro molto spesso coincida sempre e solo con l’arabo-musulmano. L’Africa non viene mai citata, se non nella misura in cui è collegata con il discorso del terrorismo islamico, vedi Boko Haram. Lo stesso dicasi per i flussi migratori asiatici diretti in Australia, non necessariamente collegati al discorso che fa perno sull’Islam. Certo, ci sono pur sempre le banlieues parigine, ma il discorso è comunque calato all’interno dei confini ristretti dell’Europa. Se davvero di nuova lotta di classe si vuole trattare in senso universalistico, perché non prendere in esame anche queste altre realtà e non solo quelle che fanno subito notizia sulle prime pagine dei giornali? Da un filosofo come Žižek, per quanto molto pop, ci si aspetterebbe di più.

Ma, forse, l’intento di Žižek è solo quello di provocare il dibattito e cominciare a decostruire il politically correct della sinistra. Speriamo che a questo faccia seguito un discorso più curato e particolareggiato in tal senso, che esca anche dalla comfort zone di Žižek rappresentata da Lacan.

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