L, libreria

Le piaceva rintanarsi in quell'antro di carta. Farsi avvolgere dall'odore della carta stampata. Tastare la superficie delle pagine, saggiarne la morbidezza o la fragranza (così come lei chiamava quel misto sinestetico di crepitio tra le mani e di leggerezza dei fogli). Tutte le volte la stessa meraviglia, lo stesso desiderio viscerale di possedere vite non sue, di spiare pensieri altrui, gli stessi rituali (dal primo, superficiale richiamo visivo della copertina, alle associazioni spontanee di quest'ultima ad altre immagini, sensazioni, emozioni, ricordi, dalla lettura della quarta di copertina alla lettura casuale di qualche paragrafo, giusto per verificare che scattasse quel moto interiore che le permettesse di continuare a leggere, al sorriso di gioia rivolto al commesso o alla commessa di turno al momento di pagare).
Così è sempre stato, da venticinque anni a questa parte. La bambina guidata dalle mani sottili e fragili della madre, la ragazzina in lacrime per una frustrazione rispetto ad un voto preso, l'adolescente/liceale nel pieno della confusione ed incertezza data dalla scoperta di una sé stessa, si confondevano e sommavano alla lei di quel momento. Desideri, sguardi simili che tiravano i fili delle sue azioni.
Qualche volta il suo cammino non era in solitaria. Che fosse una persona cara o una persona appena conosciuta, un amore timido o sfacciato, una soggezione o una complicità, quello che a lei importava era che tutti l'accompagnassero in quella libreria, stando in rispettoso ascolto delle sue necessità da espletare, senza per questo perdere le proprie, di spinte. Se c'era qualcosa di pessimo per lei era, per l'appunto, qualcuno che restava indifferente, come una superficie opaca di fronte agli scaffali pieni della sua droga quotidiana. Da qualche tempo a questa parte, aveva preso l'abitudine di mappare le librerie delle città che visitava, anche solo di sfuggita. Poteva essere una registrazione delle voci dei commessi o semplicemente il silenzio che vi regnava, le foglie ingiallite del platano vicino all'entrata, un segnalibro omaggio, l'aria respirata e cautamente imbottigliata, una fotografia scattata di nascosto, l'elenco dei titoli che avevano catturato la sua attenzione o un breve aforisma di sintesi dei pensieri che l'avevano investita durante la sua permanenza. Tutto doveva essere ricordato. L'incontro e la scelta del libro era per lei la rappresentazione più chiara dell'insieme di forze che regolavano l'animo umano, quello che portava ad innamorarsi e al conseguente desiderio di condivisione, di confusione dei confini tra il Sé e l'altro, di apertura al mondo senza categorie o distinguo. Con la stupefazione stimolata dalla libreria, elegante messaggero di romantici intenti, voleva ricrearne in continuazione quello stato di ebrezza e di eccezionalità che, nella realtà, veniva adombrato dall'abitudine. Così conduceva le sue giornate, e si bastava a sé stessa.

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