Aquarius, Kleber Mendoça Filho (2016)

L'amaca in casa. Un tratto della vita india strappato, derubato, e inglobato nella cultura nordestina brasiliana. 

La storia brasiliana è regolamentata da questo principio violento, coperto, dissimulato da tanti stereotipi, il più delle volte costruiti ad arte. Aquarius è lì per sfatarli tutti, uno per uno, riportando lo spettatore a quel nucleo di violenza sul quale si fonda la società brasiliana. Un ordem e progresso imposto con la forza alle classi più deboli e coltivato da quelle élitarie. Clara (Sonia Braga) lo svela candidamente alla fidanzatina carioca del nipote: Recife è divisa in due metà, una povera e l'altra ricca, tramite un tubo di scolo che si immette direttamente nella spiaggia. 

I grattacieli ultramoderni degradano bruscamente in case in muratura, piccole e grandi favelas, nelle quali vivono le donne di pulizie e uomini di fatica programmati per la soddisfazione dei desideri della metà della città più fortunata, alla quale tutto è concesso: bellezza, spiagge, calici di vino, musica e citazioni colte. In realtà, la Recife ricca è anch'essa composita: vi sono i libertari figli della generazione del tropicalismo, della liberazione sociale e sessuale, e quelli arricchiti che parlano un linguaggio preso in prestito dai paesi anglosassoni, divisi tra un divertimento autodistruttivo e un'etica capitalistica che non guarda in faccia a nessuno. 
Clara rappresenta quindi una generazione ormai sorpassata dalla filosofia del denaro, una generazione nella quale le differenze razziali non venivano agitate come strumenti di offesa, ma piuttosto come poli che si attraggono reciprocamente, che si mescolano in nome di un piacere edonistico e una celebrazione della vita. Vita ovviamente concessa a pochi eletti. Gli album di famiglia sono un continuo intercalare di oppressione di classe socialmente legittimata: ecco qua una donna delle pulizie e tata "stronza", che rubò tutti i gioielli di famiglia, un'altra più remissiva e obbediente rispetto alla diseguaglianza degli stili di vita. I ricchi esistono per sfruttare i poveri e i poveri per rubare dai ricchi, si lascia sfuggire un personaggio del film in un momento di cinica lucidità. Un capitale culturale e sociale sbirciato sulla soglia ed invidiato: la fedele donna delle pulizie, di fronte a tanto sfoggio di relazioni familiari, di gioia da famiglia del Mulino Bianco, ecco che si intromette desiderando di mostrare anche lei il suo pezzo di felicità, una foto-tessera del figlio nel portafogli. Tutto cade in una pausa imbarazzata. Le diseguaglianze non vengono mai messe in discussione, accettate con stoica indifferenza: libertà per alcuni, controllo e ingiustizia per altri. Forse Lévi-Strauss aveva in fondo ragione a mettere sullo stesso piano Brasile e India nel suo Tristi Tropici: mentre la seconda legittima le diseguaglianze di classe sulla base di giustificazioni religiose, la prima le inserisce in una gigantografia di un sistema patriarcale, nel quale il povero-femminile è alle dipendenze di un ricco-padre tutto sprint. Gli uni programmati per servire, gli altri per godere.

Eppure questo libertarismo controllato diviene una fantasia legata ai tempi andati, almeno stando alla società edilizia che ha rivelato lo stabile nel quale si trova Clara, ultima e gaudente superstite del secolo d'oro del tropicalismo. Ed è proprio sul suo pilastro, l'esotismo, che il giovane ed arrogante rampollo della società si permette di infierire: Clara fa parte di una stirpe di colore che ha dovuto "sudarsi" quella bambagia nella quale si è adagiata. Ecco che esistono privilegiati di serie a e privilegiati di serie b, destabilizzando l'antica corvée che ha permesso a Clara e ai suoi figli un'esistenza serena e di benessere. Al suo posto, una nuova generazione aggressiva, dedita al lusso sfrontato e, al tempo stesso, schizofrenico e, quindi, apparentato con l'estremismo delle sette religiose.
Il regime patriarcale è diffuso a macchia d'olio, per investire anche la politica brasiliana: clientelismi fatti sulla base di legami di sangue e parentali, tali per cui l'unica arma di mobilitazione sociale diventa la calunnia. Clara ha imparato, dalla sua lotta con il cancro, che bisogna attaccare il cancro agli altri per sopravvivere. Un gioco di incastri tra il pesce più forte e quello più piccolo, in un Brasile in cui il tempo sembra essersi fermato ed è difficile credere che il film sia stato fatto nel 2016. L'uscita di film del genere, insieme, per esempio, a I, Daniel Blake, ci interroga sul significato di lotta di classe in quest'epoca storica e sulla necessità di comprenderla ed esserne protagonisti prima che sia troppo tardi.

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