N, Naufragio

A volte si pensa all'universo che si abitava un tempo. Ai circuiti mentali, alla pelle che si arrossava o sbiancava, ai gusti e alle svariate preferenze. Alle persone che si frequentavano, alle dinamiche inter-soggettive che si instauravano. Visi, colori che prima si temevano, ora si rivelano sotto una nuova struttura, insolita, che rende incomprensibile la paura che si provava, viscerale. Pomeriggi passati con un senso di inadeguatezza o di desiderio, desiderio di piacere. Interi dialoghi che si dipanavano nei recessi della mente. Musiche che si ascoltavano. Tazze di cioccolata, un libro e una musica che, di sera, creavano un'atmosfera che difficilmente sarebbe capitata di nuovo. Una condizione di serenità che, sotto sotto, si cerca di ritrovare, in tutte le assonanze e molteplicità di vita che si offrono lungo il ripetersi delle stagioni e delle attività quotidiane. Eppure queste pareti, questa vista della strada, questi graffi del tempo sulle superfici che ti parlano, che si concatenano, una volta ti parlavano diversamente. Ed è difficile credere che quel corpo, prima minuscolo, poi man mano un virgulto in espansione, in metamorfosi, fosse lo stesso corpo che ora resta perplesso davanti a quelle foto. Piccole cose che un tempo erano tutto, le pareti di una bolla di sapone nella quale farsi cullare e fondersi con i suoi confini. Ora le idiosincrasie sono altre, ma si vorrebbe che il senso di soddisfazione sia lo stesso. "E il naufragar m'è dolce il questo mare".

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