Casamento

Si rigirava la nespola tra le mani, stando bene attenta a ricevere un po' di refrigerio sulla pelle nuda. Intanto, guardava assorta l'album di fotografie con gli angoli delle pagine leggermente smussati e ingialliti. Intanto, una nuvola di tepore cominciava ad espandersi sul basso ventre: la gatta si era adagiata nel suo grembo proprio in quell'istante. Addentando pigramente la nespola, cominciò a squadrare la prima foto sulla destra che incontrò: un casamento avvolto nel verde dei cipressi. Si ricordò quell'estate in cui si era inerpicata sulla collina stringendo la mano rugosa del nonno, sfiorando con il capo di bambina gli steli, ora di lavanda, ora di papaveri. Quel rosso squillante era sempre stato per lei promessa di estate, di segreti, di tesori da custodire, come quel primo pomeriggio.
Il nonno era originario di quel paesino che si stendeva in modo puntiforme ai piedi della collina. Un campanile, un piccolo cimitero, una secolare osteria ed una vecchia quercia. Poi tanti tinelli dove si riunivano famiglie numerose quanto affamate. Per lui quello era stato l'universo, almeno per i suoi primi sedici anni di vita. Poi, la voglia di contribuire a portare a casa un tozzo di pane in più lo strappò ai prati di margherite, agli armenti e alle gonne della bisnonna per catapultarlo nell'operosità della fabbrica di città, tra un cessato bombardamento e l'altro.
Quel pomeriggio il nonno non sembrava lo stesso di sempre. Non che fosse mai stato un chiacchierone, questo no. Però quel giorno, steso sull'erba con la famiglia, i nipoti, le figlie, i generi, in una gita bucolica ferragostana, si vedeva che aveva la testa altrove, sprofondata in chissà quali luoghi e tempi. Lei era sempre stata la sua nipote preferita, forse perché era l'unica femmina. Dai maschietti non si poteva pretendere la stessa attenzione per i suoi ricordi nostalgici di ragazzo. Lei invece sembrava essere stregata da una vita che, al contempo, non esisteva più ed era lì davanti a lei. Finito il pranzo (qualche fetta di formaggio comprato dal casaro del paese accompagnata da una buona confettura di more fatta in casa dalla nonna, come da tradizione), il nonno le disse che aveva un segreto da raccontarle, ma che glielo avrebbe svelato solo dopo essere arrivati in cima alla collina. I grandi non facevano caso a loro, presi com'erano dal classico attacco di sonno post-pasto, mentre i cugini e il fratello erano impegnati a dare la caccia ad una lucertola. Gli occhi le brillavano ed era chiaro che il segreto del nonno aveva battuto i compiti di matematica dieci a zero. Non se lo fece dire due volte. Imbracciò la mano del nonno come se fosse la spada di un valoroso cavaliere e cominciò a strattonarlo lungo il sentiero nella segreta speranza di fare il prima possibile.
Le cicale avevano smesso da poco di frinire. Il sole, stranamente, non picchiava molto, per quanto fosse l'ora giusta per farlo. Il nonno faceva fatica a tenere testa alla velocità della nipote, ma non chiese mai di fermarsi, né fiatò per esprimere il minimo segno di fatica. Solo il suo fiato, come piccole spire di qualcosa di contorto che aveva dentro, ogni tanto si annunciava sul collo esile della nipotina. Arrivati in cima, si fermarono un attimo ad ammirare il panorama. Il paesino, per quanto modesto, faceva la sua figura, quasi come una spilla elegante ma poco pretenziosa sul bavero della giacca di una signora attempata, la valle verde che si dipanava davanti ai loro occhi. Al di là dell'orizzonte si intuiva il profilo sfuocato della grande città, i fumi minacciosi in qualche modo tenuti a bada dal confine visivo.
Dopo poco, il nonno cominciò a raccontarle che, quando era bambino, la vera vita era su quella collina, non in paese. I contadini si sentivano onorati e al tempo stesso vergognosi della loro misera esistenza quando si avventuravano su quella collina. Il motivo era quel casamento, o piccolo borgo abitato, sulla sinistra, nascosto da una fitta fila di maestosi cipressi. Nessuno sapeva l'epoca in cui era stato costruito, ma doveva essere molto antico, a giudicare dalle merlature e dalle torri che si offrivano allo sguardo una volta imboccato il sentiero dei cipressi. Ora il casamento era diroccato, ma qualcosa di essenziale del suo passato fastoso restava, anche nella percezione di una bambina. Una nodosa quercia aveva inghiottito parte di una torre e rendeva il borgo un gigante buono a metà strada tra la roccia e la verde clorofilla. Nei giorni di festa questo borgo apriva le porte agli abitanti del villaggio, i quali potevano accarezzare, anche se per un esiguo periodo di tempo, le ricchezze in esso contenute. Gare di pugilato, i migliori cantastorie siciliani venuti apposta in quell'angolo disperso tra i monti e le colline, pappagalli variopinti da ammirare, alberi della cuccagna rigogliosi, mangiafuoco bonari quanto giganteschi e possenti. Tutto quello che si poteva sognare nelle sere d'inverno più inospitali e anche di più. Tutto il villaggio, prete compreso, si prendeva una pausa e tutto ciò che era proibito o condannato durante l'anno prendeva vita per magia in quei pochi giorni paradisiaci: mariti che ballavano con altre donne, bambini che non arrivavano all'ora di cena, animali che mangiavano insieme agli umani, seduti a tavola.
Il mondo era stato sotto sopra e tutti aspettavano con ansia quel momento per potersi rigenerare. Essere un bambino, poi, era meraviglioso in quel periodo: ricevevi dolciumi da chiunque, potevi stare alzato fino a notte fonda senza essere inseguito da tua madre, prolungare ulteriormente il momento dei giochi tra pari. Fu in giorni come quelli che il nonno decise di andare a lavorare in città, di vivere separato dalla famiglia pur non avendo raggiunto la maggior età.
Se non fosse stato per i giorni di festa del casamento, pensava la ragazza mentre dava un buffetto sulla guancia della gatta e sorseggiava una tazza di tè, forse mia madre e quindi io stessa non saremmo mai venute al mondo. Il nonno infatti aveva un carattere molto chiuso e tutti in famiglia avevano pensato per lui una carriera da prete. Il rigoglio di vita del borgo, in qualche modo, smosse in lui un soffio vitale e, per quanto rimase sempre di poche parole, cessò di essere uno spettatore passivo della sua vita.
Quello era il grande segreto del nonno, quelle mura in pietra a vista e dalle merlature medievali, quel pianoforte a coda ora sfondato, un tempo tappeto magico dei sogni di un'infanzia. Pensò che ognuno di noi ha un casamento, quattro pareti di magia dentro di sé, qualcosa di fondamentale che ci si porta appresso per tutta l'esistenza. Probabilmente anche lei l'aveva nascosto da qualche parte, ma non aveva idea di cosa. D'altronde, le ci volle l'intera adolescenza per capire il segreto del nonno rivelato in quel primo pomeriggio estivo. Non sempre si hanno le parole per tutto, si disse, mentre chiudeva con cura l'album di foto. Fuori aveva cominciato a piovere tutto ad un tratto. Sarà meglio farsi dell'altro tè, disse tra sé e sé.

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