White God. Sinfonia per Hagen

Un pugno nello stomaco. Se devo sintetizzare le emozioni suscitate da White God. Sinfonia per Hagen, pronuncerei proprio queste parole nell'ordine esatto in cui le ho scritte. Buttate via qualsiasi costruzione disneyiana dell'animalità o voi che entrate, sarebbe il naturale consiglio che darei a chi è intenzionato a vedere questo film. Il regista, infatti, ha dichiarato esplicitamente di essere stato ispirato dal libro di Coetzee, Disgrace (in italiano Vergogna), un romanzo nel quale l'empatia e la compassione per gli animali diventa il perno attorno al quale il protagonista, accusato di violenze sessuali a danno di una sua allieva, attua una trasformazione di sé stesso (inutile dire quanto il discorso della misoginia, altro argomento principe del romanzo, sia tanto prossimo al discorso sull'animalità). Per una recensione esaustiva di White God, consiglio l'articolo del New York Times.
Tutto inizia in modo apparentemente banale, quotidiano. Una bambina figlia di divorziati e il suo cane, Hagen, vengono portati dalla madre, in procinto di partire per una conferenza all'estero, al padre. La catena di stoccaggio della carne dove lavora quest'ultimo, in qualche modo, rappresenta la spia del binario sul quale si gioca il senso di questo film, ovvero: cos'è animale e cosa lo differenzia dall'uomo? E' una distinzione ontologicamente valida, o è piuttosto una comoda classificazione di matrice politica, volta a far salire sul piedistallo l'umano come Dio indiscusso del creato, che può disporre di coloro i quali sono stati etichettati come animali come gli pare e piace, trattandoli come suoi sudditi, oggetti dei quali può disfarsene o ridurre in carne macinata? La risposta è implicita. Tutto il film è costruito per farci odiare, noi in quanto uomini. La padroncina del cane Hagen, se così si può chiamare (o, meglio, compagna, se si vuole uscire dalle lenti antropocentriche), Lily, lo riassume bene in una caustica frase. Verso la fine del film, intenzionata a redimere l'esercito di cani randagi partiti alla volta della vendetta più assoluta delle ingiustizie subite da Hagen, in risposta al commento terrorizzato della maschera del teatro: "Cosa fai, stai lontana da quelle bestie feroci!", replica: "E' lei la bestia". In un mondo dove i cani che non sono di razza ungherese (un sinistro parallelo con l'antisemitismo hitleriano e mussoliniano, così come i gruppi di estrema destra contemporanei, quali la Lega Nord di Salvini, diventa automatico. Sostituite i cani con gli esseri umani ed avrete un perfetto discorso "purista" xenofobo. La differenza è che se questo discorso rimane sui cani, non ottiene lo stesso clamore e scandalo che susciterebbe nei ben pensanti di oggi) devono essere reclusi nei canili o, in alternativa, i loro padroni devono pagare una tassa, dove i cani vengono drogati ed addestrati ad uccidere altri loro simili nelle lotte clandestine, definire i cani bestie è, a dir poco, offensivo. Se poi i cani si rivoltano e tengono in scacco l'intera città di Budapest azzannando le persone dentro le case, il mostro non è nelle loro fauci. E' un mostro creato da noi, siamo noi stessi gli artefici della nostra disfatta. E' anche un mostro che ci fa comprendere come lo stato di cosa inerme (lo stesso discorso che spinge molti a sostenere che la dieta carnea sia "naturale" perché gli animali sono sottoposti alla legge del più forte) che tanto è utile per noi umani sia, in realtà, qualcosa di futile. 
La stessa Lily, con il suo desiderio di avere sempre accanto Hagen, dai pasti, alla condivisione del giaciglio (tanto che, per non lasciarlo solo, è disposta a suonare la tromba a notte fonda e a dormire nella vasca del bagno), ci regala una dimensione infantile, nella quale la divisione tra uomini ed animali diventa irrisoria, se non inesistente, a favore di un ibridismo come quello descritto da Donna Haraway nella sua monografia etnografica sull'addestramento dei cani in When Species Meet. E' proprio attraverso la sua tromba che, alla fine, Lily ammansisce l'orda di cani: non ci sono più uomini contro cani e cani contro uomini, ma un'unica, immensa folla rapita dalla poesia della musica, dall'affetto viscerale di Lily per Hagen e di Hagen per Lily. Il finale non è però ottimista od ottimistico: l'afflato è soltanto una pausa, dopo non si sa che fine faranno i cani, non si sa se gli uomini riconosceranno le loro colpe.
Le categorie antropocentriche vengono totalmente messe in dubbio anche dalla tecnica delle riprese, sempre a dimensione di cane, descrivendoci la realtà sociale dei cani, cosa che noi, sempre abituati a renderli dei surrogati di giocattoli, non siamo molto abituati a considerare: l'obiettivo è essere vicino a loro, riprendere i loro occhi, attivare quell'empatia necessaria per calarsi nelle loro storie, ancora più necessaria per problematizzare la divisione tra loro e noi. Il regista, inoltre, ha ripreso qualcosa come 200 cani. Su YouTube trovate un'interessantissima intervista con il regista e l'addestratrice rispetto alle tecniche di ripresa e alla ricerca che vi sta dietro.
Un film che dovrebbe essere maggiormente valorizzato, molto di più di quanto è stato fatto finora. Spesso un film vale più di tutte le pubblicazioni che si possono fare sull'argomento dell'animalità. Da guardare il prima possibile.

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