I, (Svegliarsi in un letto) IKEA

C'è qualcosa di malinconico quando si va all'IKEA o in qualche altro negozio di arredamento. Anche se questa sensazione l'ho provata soltanto all'IKEA. Non ci sono mai andata spesso, ma qualche settimana fa bisognava sostituire la tenda della finestra della cucina, che aveva già fatto ampiamente il suo dovere per anni. La ricostruzione di piccoli appartamenti, il poter guardare dentro alle credenze, potersi sdraiare sui letti per provare la morbidezza dei materassi, in qualche modo fa capire al visitatore che ci sono tanti prototipi di vita da provare e sperimentare. Una vita in una provetta. La prima associazione d'idee che mi è venuta è stata ripercorrere queste scene tratte da 500 Days of  Summer (purtroppo non ho trovato le stesse sequenze che mi interessavano in originale).



La prima cosa che suscitano queste ricostruzioni degli interni delle case sono i giochi che si facevano da bambini. Quando si offrivano gustose pietanze fatte d'aria o, per i più intraprendenti, di sassi e fogli da offrire agli adulti, che assaporavano rumorosamente per darci soddisfazione. L'immaginazione che imbastiva il proprio futuro, magari non necessariamente agognato ma, bensì, plasmato per esigenze funzionali al gioco. Quando tua cugina voleva fare la parte della maestra e metterti una nota sul diario. Quando ti disegnavi dentro alle storie di Topolino perché volevi partecipare alle storie della famiglia dei paperi (Topolino e compagnia bella ti stavano leggermente antipatici). Il gioco è una perfetta palestra di vita, insegna l'empatia e l'adattamento alle diverse situazioni, almeno dicono così pedagogisti e psicoanalisti. IKEA in qualche modo ti chiede di immaginarti padrone della tua vita, con le chiavi di casa in mano, prendere posizione rispetto alla scenografia che si vuole mettere dietro a noi stessi.
Poi c'è qualcos'altro che sfugge ad IKEA, che rende il gioco amaro al palato: i sentimenti. Certo, quelli non si riescono bene a simulare. E, nel caso in cui lo si faccia, si rimane schiavi di una generale inconsistenza, inafferrabilità: l'altro diventa un ipotetico omino stilizzato, utile per riempire i vuoti esistenziali ma privo di identità.

Non ti amo però, forse ti cercherò 
quando avrò bisogno di una scatola. 
Casa mia è piena di 
cose piccole che si perdono facilmente 
ma quando avrò finito le mensole ti chiamerò, 
quando dovrò traslocare ti cercherò, 
ma dove andrò ad abitare, 
dove andrò ad abitare, 
non te lo dirò
(Lo Stato Sociale)
Ho letto giorni fa un articolo sui nuovi costumi sentimentali/sessuali sorti attorno alla nascita di siti per gli appuntamenti come Tinder su Internazionale. Procurarsi un appuntamento mordi-e-fuggi non è mai stato più semplice adesso. Amori preconfezionati, on demand, componibili come gli armadi IKEA, ma sempre uguali tra loro, sia perché le istruzioni sono sempre le stesse, sia perché i modelli sono stati pensati per essere riproducibili. Poi quando si tratta di fare sul serio, ecco che le persone si trovano a disagio: per cui, pur di rimandare l'ipotetico incotro faccia a faccia, meglio passare ore ed ore in questi social per scartare facce e profili.

Quando la passione incontra l'idea 
quando la logistica si è fatta dea
quando la passione la incontra
è amore ai tempi dell'IKEA
(Lo Stato Sociale)

Ecco, credo che IKEA ci proponga un bivio, scegliere tra l'inventiva infantile, che rende l'aria pregiati stufati di alti cucina, e il protocollo infinitamente conforme. Tra il tessere il proprio futuro con il nulla, innamorarsi di un'ombra, e prende una pista ovvia, confortevole perché già pensata ed avviata da altri. Tra l'amico immaginario, quello grazie al quale ci si faceva passare la noia a scuola o le delusioni in famiglia, e quello distribuito in segmenti facilmente codificabili (informazioni, foto, stati) che occhieggia dagli schermi dei nostri smart phone. Un'enorme contraddizione, quella dell'esposizione dell'IKEA. Da un lato, ci hanno già pensato i designer, fin nei minimi dettagli. Nulla è lasciato al caso. Dall'altro, le storie che si possono inscenare sono infinite, quante sono le sfumature della fantasia di ognuno. Si riproduce poi quello che la vita sociale ci propone in continuazione: come poter costruire una propria unicità rispetto ad una struttura sociale che detta ed impone regole? Pensarsi bambine quando, in realtà, bisogna dimostrare sempre di essere donne? Con una condizione familiare e sentimentale determinata, sempre sicura di sé ed inscalfibile, quando si vorrebbe solo pensare al desiderio infantile di una casa per le bambole.

L'immobiliarismo è una panacea
è un mantra che si dischiude come ninfea
l'immobiliarismo è
amore ai tempi dell'IKEA
(Lo Stato Sociale)

Ma poi, ci si chiede, perché simulare un sorriso ed un bacio quando li si vuole vivere sulla propria pelle? Forse. Vivere spaventa sempre. Sognare invece non costa nulla. Il punto è se questo sogno è un nostro sogno o un sogno pensato per noi dagli altri. Non si hanno risposte, solo qualche morbido pupazzo e del sidro di mele speziato allo zenzero.


Commenti

Post più popolari