Whiplash, Chazelle (2014)

C'è un'etica prettamente protestante in questo film. Ovvero, l'idea che il talento non debba essere enfatizzato, encomiato, ma, al contrario, diretto verso il trascendimento di sé stesso, la ricerca costante di una sfida sempre più inesorabile ed astrusa. Non c'è nemmeno una trama in tutto questo: la storia ruota attorno alla definizione di cosa sia convivere con il talento e cosa questo comporti nella vita quotidiana.
Il giovane Andrew, nell'incontro-scontro con l'insegnante Terence Fletcher, conoscerà una forma di vessazione retroattiva, che lacera e scava nei riflessi automatici, nelle abitudini. La vita sarà scandita dal metronomo incessante delle crome e delle semicrome: l'immediatezza della sconfitta più bruciante o della condizione effimera del successo, tutto si crea e si distrugge su battiti e frequenze. L'identificazione con l'aggressore è talmente forte che persino la denuncia voluta dal genitore non cancella il desiderio di compiacere quel giudice così implacabile. Un giudice che si confonde tra Terence Fletcher e il super-Io di Andrew. Le avversità si trasformano in incentivi a migliorarsi. Il piatto scagliato ad uno dei migliori batteristi della storia della musica diventa una parabola didattica: senza essere stato mai preso a botte, il talento si ferma alla prima esecuzione buona e non evolve. Il talento sta, per l'appunto, nel desiderio bruciante di riscattarsi, sempre e comunque, cosa che il finale conferma con chiarezza. I confini tra sadismo e mecenatismo diventano rarefatti, lasciando presagire il paradosso che la soddisfazione e la felicità blocchino il naturale corso di formazione di sé stessi. Un film sul quale riflettere, in un'epoca in cui i sacrifici non sono mai visti con occhio benevolo e costruttivo.


Commenti

Post più popolari