Perdita

Guardava assorta le unghie delle dita dei piedi. Si soffermò sulle gocce del getto della doccia mentre stavano picchiettando, come capricciosa grandine, la pianta. Fece un lungo respiro, cercando di controllarle ed evitare che si rompesse in un pianto.
Non riusciva a capacitarsi. Di quella peluria sotto le ascelle, così disgustosa da farle ricordare certe putride alghe. Di quell'altra peluria, ancora più innominabile, giù in basso. Di quel pulsare strano sul petto e quelle piccole escrescenze che si era ritrovata tutto ad un tratto, insieme alle altre pelurie. Insieme a quelle macchie vischiose rosee che le avevano lasciato una fastidiosa sensazione di bagnato, come quando era più piccola e si svegliava piangendo con il materasso umido della sua pipì.
Esatto, tutto questo le sembrava come svegliarsi in quelle mattine. Chi le aveva chiesto se voleva tutti questi fastidiosi cambiamenti? Nessuno. Eppure eccoli tutti lì presenti, attaccati alla sua pelle, a quella stessa pelle che faceva, tempo prima, il bagno nella vasca con la mamma. Perché quelle pelurie e quelle escrescenze in sua madre non le davano alcun fastidio, anzi, le erano del tutto indifferenti, e invece le sue le trovava rivoltanti? Anche a scuola, sia alla materna che alle elementari, nessuno avrebbe chiamato i genitori se lei avesse disegnato delle persone adulte di sesso femminile con quelle escrescenze lì davanti, magari separate da un breve solco di matita e decorate da una spilla fiorita. Tutti gli altri bambini, magari chi più abilmente, chi più goffamente, disegnavano così le mamme, le nonne, le zie, le maestre, le cassiere, le contadine, le bibliotecarie, le fioraie. Tutte avevano quelle escrescenze. Nessun bambino associava queste protuberanze, semplicemente c'erano, e, siccome l'amore è uno solo e non è che si possa frammentare in porzioni, se quella donna di turno, dalla pasticciera alla propria nonna, era amata da loro, tutta la sua persona era amata, le protuberanze non facevano eccezione. Anzi, le volte che, in braccio, ascoltava i battiti del cuore della mamma o della nonna, si sentiva avvolta da un dolce torpore.
Lei però non riusciva a vedersi se non a pezzi. C'era la sua faccia, quella di sempre, poi poteva guardarsi solo braccia, mani, gambe e piedi. Dal collo alle cosce stava esplodendo qualcosa che odiava. Profondamente.
Non avrebbe più potuto andare al mare con solo la parte inferiore del costume, per esempio. Il petto non era più quello di una tavoletta color panna, che suo papà picchiettava scherzosamente alla ricerca delle sue ossa. Era chiamata "galletto spennato" perché era talmente esile che le scapole segnavano, a guisa di creste, la maglietta. Si immaginava un pollo che razzolava nell'aia e rideva di gusto.
Le sue compagne a scuola parlavano sottovoce a ricreazione "delle nostre cose" e sembrava, a giudicare da quello che riusciva a captare, che tutte facessero a gara per quella massa informe, rosea e lattiginosa. A lei non interessava tutto questo. Voleva lavarsi via quello schifo e riprendere la lettura di quel romanzo storico con il suo gatto tra le ginocchia. Voleva continuare a giocare per strada, con o senza i maschi, arrampicarsi sugli alberi, allevare bruchi, rintanarsi in rifugi segreti tra il fitto fogliame. Correre leggera a perdifiato. Ricevere le stesse attenzioni, le stesse sgridate, gli stessi regali, le stesse storie del fratello. Vestire in modo semplice perché "a giocare ci si sporca" e, soprattutto, perché non importa nulla a nessuno di come veste una bambina. Non ci sono etichette da rispettare, nei limiti della buona educazione. Ora però, nel suo mondo da piccolo chimico, da limonate fresche, da sassaiole con i bambini del rione nemico, si era intrufolata, senza chiedere permesso, la vergogna, che aveva a sua volta invitato per un tè la riservatezza e l'introversione. Abbracciare i genitori tornati dal lavoro e mangiare tutti seduti a tavola da rito catartico si era trasformato in qualcosa di imbarazzante. C'era un non detto tra lei e sua madre che non c'era mai stato e che si frapponeva tra lei e l'abbraccio che avrebbe desiderato ricevere. E questo per colpa di chi? Di nessuno.
Si lasciò scivolare sul fondo della doccia, curvò le spalle e cercò in tutti i modi di nascondere pelurie ed escrescenze. Nella testa, un silenzio sordo di perdita.

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