Scannarsi tra vegetariani/vegani e carnivori e tutto ciò che ne consegue

Fino a quando non ho deciso o, meglio, non ho permesso a quella parte di me che si sentiva costantemente in colpa di mangiare carni di animali che, in un tempo più o meno a me prossimo, erano vivi e vegeti, con tutto il carico di sensibilità, di intelligenza, ecc. "sacrificato" in nome di un'altra sensibilità ed intelligenza catalogata superiore alla prima in quanto "umana" e, quindi, per forza di cose superiore (secondo il paradigma assolutamente megalomane, egocentrico/etnocentrico/x-centrico), di emergere e diventare parte attiva nella mia vita. Per una serie di concause, di riflessioni, ecc., quel senso di colpa è venuto fuori e si è concretizzato nella scelta di non mangiare più carne, almeno per il momento (non credo alla fissità delle scelte, credo nella portata dei sentimenti nel renderci consapevoli di noi stessi e degli altri). Da questo momento, cose alle quali non attribuivo importanza o che non registravo nemmeno o solo in modo molto superficiale si sono presentate al mio raggio di osservazione. Premetto questa riflessione con una mia personale constatazione: io credo che le scelte, specie se etiche, siano giuste o sbagliate soltanto se rapportate alla dimensione personale e fenomenica delle proprie idiosincrasie. Per meglio dire, sono fermamente convinta che ci siano altrettante persone che, pur continuando a mangiare carne, provino un senso di colpa simile al mio e abbiano cercato di darvi una risposta, come meglio credevano. I miei genitori, per dire, preferiscono comprare uova, latte, carne presso esercenti che conoscono e che rispettano il più possibile l'animale. Certo, si tratta pur sempre di sacrificio, ma è svuotato di quella repellente credenza che all'uomo sia tutto dovuto e che le altre realtà viventi siano a lui assoggettate ed inferiori. La famiglia d'origine di mia nonna, così come di tante nonne e nonni, conviveva, nel senso più stretto del termine, con gli animali ai quali poi sottraeva latte, macellava, ecc., ma ne aveva anche un grande rispetto e timore. Film come Le quattro volte illustrano bene questa simbiosi uomo-animale, in cui l'uccisione dell'animale non è simbolizzata e rielaborata come prevaricazione, ma come un dialogo sofferto e una domanda aperta rispetto ai bisogni alimentari (che non si possono negare) dell'animale-uomo. Lo stesso bisogno che spinge gli indios amazzonici a chiedere perdono agli spiriti della natura per aver sottratto alla vita un loro membro. Sono tutte risposte, tutte ugualmente rispettose, secondo il mio parere, rispetto alla relazione che l'uomo intrattiene con gli animali che mettono anche a nudo, in qualche modo, come la divisione ontologica uomo-animale non abbia alcun senso, essendo il risultato di continui ibridismi che li rendono sostanza della stessa materia. La mia scelta è una scelta che va bene per me, che è giusta per me. Non per questo le altre si escludono dal novero della plausibilità.
Quello che invece sperimento spesso è tutt'altro. Vegani e vegetariani sull'orlo di una crisi identitaria perché non riescono a 'farsi accettare' da coloro che non lo sono, al punto da definire questi ultimi con il termine, per me assolutamente dispregiativo e livellante (nel senso che non tiene in debito conto delle persone che hanno compiuto una scelta etica accettabile rispetto a coloro i quali non si sono nemmeno posti l'interrogativo e si pongono nei confronti dell'animale come strumento da sfruttare), di "carnivori", creando così una setta che vede con sospetto tutto ciò che è diverso dal Sè e che vorrebbe evangelizzare quest'ultimo ritenendosi gli unici depositari della Verità. Dall'altra parte della barricata, altrettanti "carnivori" che puntano i vegetariani e, soprattutto, i vegani facendone il capro espiatorio della propria, ingiustificata, aggressività, o, meglio, paura ed ignoranza rispetto a scelte diverse che, proprio in quanto tali, potrebbero essere pericolose nel mettere in discussione assunti dati per incontestabili. Se invece di scannarsi a vicenda, si cominciasse a pensare che l'uomo non può ricoprire il ruolo del Salvatore perché è, come qualsiasi altra cosa esistente, pieno di contraddizioni e di incoerenze, nonché imperfetto, forse si smetterebbero i toni della purezza per abbracciare quelli del dialogo, del tentativo, molto imperfetto ma se non altro autentico, di fare scelte nel rispetto dell'alterità e di sé stessi.

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