Solitudine come bagaglio a mano

Mi trovavo pochi giorni fa di nuovo all'estero, di nuovo ricercatrice migrante e peregrina, di nuovo attraversamento di non-luoghi o, per meglio dire, di luoghi di passaggio, di gallerie dell'umanità, della relatività temporale e spaziale. Ore prima ti trovi in un dato contesto per poi essere scaraventata in altri orizzonti, in altri sapori e dimensioni.
Pensavo, mentre i miei polmoni si riempivano di tracce altrui, culturali e non, sacre e profane e non, mentre il mio corpo passava e ripassava continuamente confini, tra esterno ed interno, tra crocicchi e piazze, mentre le mie orecchie registravano cadenze musicali e lessicali con un diverso ritornello ed una diversa melodia, come il proprio corpo sia una meravigliosa membrana permeabile, un vessillo che secerne e si imbeve di significato, di habitus culturali. Ritengo la 'vera' arte del viaggiare un qualcosa che debba essere consumata in solitaria, proprio perché l'esperienza che il tuo corpo compie, per il semplice fatto di trovarsi altrove, è unica e condivisibile solo in minima parte o, almeno, per quella piccola porzione delle abitudini e delle sensazioni corporali che può essere enunciata verbalmente. Non ti può essere chiara l'importanza di un centro commerciale nel creare calore sociale in un paese dalle temperature rigide se non sperimentando sulla propria epidermide il desiderio di una qualche forma immediata di torpore, per esempio.
Difficilmente credo, altresì, che il viaggio in compagnia permetta una comprensione profonda dei luoghi. In quest'ultimo caso, la socializzazione, la regola non scritta di condivisione di sé stessi (e ribadisco sé stessi, non di ciò che si sta sperimentando con il viaggio) con i propri compagni di viaggio rende il luogo sconosciuto da esplorare come un tavolino di un caffè all'aperto: qualcosa di piacevole che deve allietare e, per questo, passare in secondo piano, rispetto alle conversazioni con il proprio interlocutore. 
L'unico caso in cui si può auspicare di sentire il proprio corpo come attraversato dai luoghi che si visitano è quello in cui il corpo dell'altro è stato compenetrato dal proprio dopo un lungo ed avviato periodo di prova, ovvero in casi di intimità e di condivisione della più minuta quotidianità, nella fattispecie una relazione affettiva di lunga durata, sopravvissuta a visi struccati, ai tic personali e alle insonnie o brontolii notturni, o una di tipo familiare, tale per cui si capisce cosa passa nella testa della persona che si ha di fronte da come tiene in mano una tazza o muove le dita.
Forse questa è una posizione radicale, con tutti questi viaggi organizzati, crociere con spettacoli ed occasioni aggregative di massa, però non posso negare che i momenti migliori di intuizione e comprensione del luogo nuovo in cui mi sono trovata è stato quando ero da sola e, se invece questo avveniva con qualcun altro, il ricordo non era più legato al luogo, ma a quella persona in quel luogo, il che non è affatto la stessa cosa.

Riflessione scaturita mentre il mio corpo stava registrando il diverso calore di un diverso sole lungo un diverso orizzonte.

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