Masterchef India

Notoriamente, io odio i programmi di cucina. Odio cucinare, odio sentire parlare di cucina, di piatti, ricette, a volte non manifesto neanche molto entusiasmo per il cibo in sé. Mangio per poter essere in forze ed in salute, non per altri particolari motivi. Eppure, questo programma di cucina (in onda su Babel sottotitolato in italiano) ha catturato la mia attenzione.
Forse perché è difficile avere un'idea anche lontanissima e sbiadita dell'India odierna, a meno che non si capiti per caso in una festa organizzata da studenti indiani, presenti in massa in determinati dipartimenti dell'università inglese dove sto conducendo il mio dottorato, e si diventi parte, anche solo per poche ore, del loro (coesissimo) gruppo, forse perché i film di Bollywood che vengono trasmessi in televisione sono solo la parte più affine al gusto occidentale e quindi un indiano non li vedrebbe mai (oppure li vedrebbe, ma solo per il fatto che ha una cultura cinematografica ben superiore alla nostra, con medie di venti film all'anno visti al cinema), ma sono convinta che un occidentale abbia un immaginario ancora ancora a Salgari. Questo programma dà invece uno spaccato interessantissimo dell'India moderna: un concorrente sikh che dona la spada appartenuta per generazioni alla sua famiglia al conduttore-star di Bollywood in quanto anche lui professante la religione sikh, il tutto con la recitazione di inni/preghiere sikh. In Italia, nella cattolicissima Italia, tutto questo non si sarebbe visto nemmeno nei canali espressamente dedicati al pubblico cattolico. Religiosità che si mescola con aneddoti della vita da macho del conduttore, proverbi popolari, manifestazioni emotive per un occhio ad Ovest incredibilmente esagerati e complicati da decifrare. Conversazioni che iniziano in hindi per poi sfociare in un inglese indianizzato o in qualche parola britannica presa a prestito qua e là, una vulgata comprensibile a tutti i partecipanti di qualsiasi età. Comparsate di altri attori di Bollywood, alcuni famosissimi come Ashwaray Ray. Un vestiario che sembra provenire direttamente dagli anni Sessanta con qualche dritta di un regista fanstascientifico in pensione, ma anche di una cosca mafiosa, a dire il vero...
Un caleidoscopio (piuttosto incasinato, aggiungerei) che lascia di stucco e che sconvolge tutte le nozioni di India racchiuse nel Salgari che mettevate sul comodino da bambini.





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